Music
October 5, 2012
Spira Mirabilis: un nuovo modo di fare musica (e stare insieme)
Luca Sticcotti
Nei giorni scorsi alcuni musicisti che fanno parte del progetto Spira Mirabilis sono stati ospiti dell’Accademia Mahler per un incontro dedicato al “self management” in campo musicale.
L’idea di fondo era quella di fornire spunti in merito all’esigenza dei musicisti – così come dei lavoratori di ogni settore – di non farsi travolgere dai ritmi e carichi professionali fino arrivare al punto di mortificare le motivazioni originarie. Il tutto alimentando la dimensione motivazionale e lavorando molto sulle relazioni. Direte: è una strada praticabile oggi, vista la crisi?
Il gruppo di musicisti che partecipa al progetto “Spira Mirabilis” ritiene di sì e lo fa adombrando anche un’organizzazione sociale in musica molto lontana dalle dinamiche che – per restare all’attualità – in questi giorni provocano nuove tensioni tra Gustav Kuhn ed il nuovo cda della Fondazione Orchestra Haydn.
“Non sono per il menage a tre” ha affermato Kuhn in risposta all’intenzione da parte della fondazione di confermagli, da gennaio 2013, la sola cura di alcuni progetti d’eccellenza e non più la direzione artistica tout court. Evidentemente Kuhn, da vero uomo forte, intende oggi riaffermare il suo ruolo di unico artefice indicando quindi nella compagine orchestrale il suo unico interlocutore.
E’ una dimensione davvero molto lontana dal “collettivo” rappresentato dall’esperienza di Spira Mirabilis, seppur con una serie di importanti distinguo.
Ne abbiamo parlato con Timoti Fregni, componente del progetto, uno dei due ospiti all’Accademia Mahler.
Cos’è Spira Mirabilis?
Per noi è un modo di lavorare. Anzi, meglio, un modo di studiare. Il nome fa riferimento all’omonima figura geometrica, che ha la caratteristica di essere sempre sovrapponibile a sé stessa prescindendo dalle sue dimensioni. Per noi vuol dire in qualsiasi progetto si lavori il modo di operare, nell’attenzione ai dettagli, nell’impegno di studio, nei tempi di prova, devono rispondere ai canoni di qualità che ci siamo imposti.
Avete un direttore?
No. Suoniamo musica da camera ma anche quando facciamo musica sinfonica suoniamo sempre senza direttore semplicemente perché così abbiamo la possibilità di fare da noi tutto l’enorme lavoro che di solito viene svolto dal direttore a casa sua sulla partitura.
Da quello che capiamo si tratta allora di una sorta di collettivo in cui il ruolo di direttore “si scioglie” e viene assunto di volta in volta dagli orchestrali.
Esiste una sorta di “direttore invisibile” che si crea grazie al contributo di tutto e di tutti. Si tratta di contributi molto diversi essendo Il gruppo piuttosto eterogeneo. Ognuno porta il suo contributo nella direzione di un’idea unificatrice nell’interpretazione. Questo è molto importante perché sennò rischiamo di costruire un “costume d’arlecchino d’idee” pregiudicando l’interpretazione. Il lavoro che cerchiamo di fare è finalizzato alla coerenza che normalmente si impersona nel direttore.
Quali sono i motivi della vostra scelta? Solo artistici o anche politico/sociali?
Dall’esterno sempre più persone ci vedono anche qualcosa di politico e sociale. Da parte nostra semplicemente c’era la voglia di studiare e farsi più domande possibili. Di solito è il direttore che risponde alle domande dell’orchestra. Non averlo costringe i musicisti ad avere una responsabilità individuale maggiore nei confronti della partitura che permette di rispondere anche a domande alle quali sarebbe difficile dare risposta se fosse coinvolto un direttore.
Fondamentalmente è tutto qui. Poi ci fa piacere che la cosa venga letta anche in chiave politica. Ci piace pensare ad una società in cui gli individui siano più responsabili ed abbiamo più senso del collettivo e del tutto. Il tutto non prescinde dall’individuale.
Anche la vostra attività professionale viene gestita in autonomia, prescindendo dalle agenzie?
In parte sì, anche se per certi ingaggi ci appoggiamo ad un’agenzia. In ogni caso cerchiamo di ottimizzare le entrate che vengono poi interamente gestite in linea con i nostri precetti. Se c’è un concerto di musica da camera in una stagione importante il cachet degli 8 musicisti non finisce nelle loro tasche ma viene redistribuito tra gli 80 musicisti che hanno collaborato tutto l’anno con il gruppo.
E’ una sorta di cooperativa…
Sì, anche se va precisato che, di base, il nostro è un gruppo di volontari impegnati a portare avanti questa cosa per ragioni personali di studio. Anche in prospettiva cercheremo di evitare che questo gruppo generi una dipendenza economica alle persone che vi collaborano.
Spira Mirabilis è in qualche modo una risposta alla crisi?
Prescinde da essa e in senso stretto non ne sarebbe nemmeno una risposta. La nostra orchestra costa davvero molto poco perché il suo scopo primario non è quello di permettere ai musicisti che ne fanno parte di pagare affitti e bollette, ma di rispondere ai bisogni di studio e di approfondimento musicale che sono connessi la professione del musicista. Chi fa il musicista spesso non ha il tempo di occuparsi veramente di musica. Di provare, di farsi delle domande. Si ha solo il tempo di preparare i concerti più velocemente possibile.
La nostra parola chiave è allora “responsabilità”. Partendo dalla responsabilità musicale nei confronti della nostra preparazione della partitura ed espandendoci nei confronti di altri campi pratici. Anche per quanto riguarda le spese c’è una rete di responsabilità condivisa che ci lega tutti.
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