New York Stories #05: Museum scene

03.10.2012
New York Stories #05: Museum scene
Ogni volta che torno a New York si pone il dubbio: lascio perdere i soliti musei? Mi dedico solo a quello che non conosco? Impossibile, perché a New York i musei sono come la città: sono vibrant e sono energia allo stato puro. Anche questa volta, quindi, una carrellata è d’obbligo.
Inizio dal MOMA, dove c’è una retrospettiva dedicata ad Alighiero Boetti, tanto che mi sembra di non essere nemmeno partita da Torino oppure di essere catapultata dall’altra parte del mondo e ricordarmi quanto c’è e c’è stato a Torino. Ed è una bella retrospettiva, che supera il legame di Boetti con l’Arte Povera e si muove oltre, nell’interessante concetto di dualità e molteplicità, ordine e disordine, viaggio e geografia in cui emergono la sua visione estetica nata anche da esperienze di viaggio.
Al NEW MUSEUM sulla Bowery c’è un excursusattraverso gli ultimi cinquant’anni di evoluzione tecnologica  nella lettura dapprima esplorativa quindi integrativa tra arte e tecnologia. Ghosts in the Machine occupa letteralmente l’intero museo, fino allo spazio sempre spettacolare dell’ultimo piano, che proietta verso la città. E da lì – con un po’ di nostalgia – vedo anche casa dell’anno scorso. Nella porta accanto all’ingresso principale prosegue l’esposizione, in questo momento enormi animali di cartapesta e videoanimazioni provocanti.
Al museo gratuito del FASHION INSTITUTE OF TECHNOLOGY sono esposti abiti rappresentativi di diversi stilisti e anni di moda. Non abbastanza da giustificare il viaggio ma abbastanza da fermarsi se si è di passaggio.
Al MAD di Columbus Circle sono esposti i gioielli di Margaret De Patta e le sue strutture luminose molto particolari, quindi la mostra Changing Hands: Art Without Reservation 3/Contemporary Native North American Art from the Northeast and Southeast, con una splendida Cell di Frank Shebageget, una rete sospesa attraverso la quale si percepisce in maniera diversa lo spazio, in una distorsione – alterazione – interpretazione di ciò che c’è oltre.
Lì accanto prosegue, all’AMERICAN FOLK ART MUSEUM a Lincoln Square, la carrellata sulla cosiddetta Outsider Art, con le immagini riconoscibili – dopo che qualcuno te le ha fatte conoscere – di uno degli esponenti più importanti di questo movimento di artisti autodidatti “spontanei”, Bill Taylor. E i quilt di Gees Bend, il paesino dell’Alabama in cui, dal semplice bisogno di coprirsi con i quilt, un gruppo di donne sviluppò nel tempo uno stile ricco di fantasia e improvvisazione che è stato paragonato alla pittura astratta degli anni Venti.
Grazie alle ricerche e all’iniziativa di un’amica studiosa e appassionata d’arte, scopro per la prima volta la NATIONAL ACADEMY MUSEUM, sempre sulla Quinta, a due passi dal Guggenheim, dove una curatrice ci porta nei depositi per svelarci una statua ad opera dell’artista di cui si occupa la mia amica, e la visita diventa al tempo stesso occasione di dare un’occhiata al “dietro le quinte” di un museo. Riaperta da poco dopo importanti lavori di ristrutturazione che conservano le caratteristiche della preziosa residenza sulla Quinta integrando le moderne esigenze espositive, la National Accademy è uno splendido spazio che raccoglie, oltre a tutte le opere proposte dagli artisti per essere ammessi all’accademia, esposizioni temporanee importanti, dalle opere impressionistiche di Mary Cassat ai dipinti di Colleen Browning, particolarmente d’impatto nelle visioni urbane. Ma a dover indicare la sala preferita non ho dubbi a scegliere quella dedicata a White: The Anatomy of a Color, poche ma importanti variazioni sul tema del bianco.
A poche fermate di autobus, sempre sulla Quinta all’altezza della 105a, proprio accanto al Museum of the City of New York (anche un ottimo spazio espositivo, ma quest’anno salto) c’è il bellissimo MUSEO DEL BARRIO, bellissimo perché coloratissimo all’ingresso e perché nell’esposizione in corso, Caribbean: Crossroads of the World, in contemporanea qui, allo Studio Museum di Harlem e al Queens Museum of Art, fa un excursus attraverso una colorata e ricca espressione artistica che parla subito di altre latitudini in opere che hanno anch’esse bisogno di essere viste (non tutte sono immediate) per essere apprezzate a fondo, oltre ai canoni estetici riconosciuti e al gusto diffuso.
Alla NEUE GALERIE, che con i suoi venti dollari continua a essere la più ingiustificatamente cara del Museum Mile newyorchese, si celebra il 150° anniversario di Gustav Klimt, con poche ma rappresentative opere. Un salto al Café Sabarsky è d’obbligo: questa volta ci concediamo una Schwarzwald.
Il GUGGENHEIM dedica i propri spazi all’arte astratta del dopoguerra in Art of An Other Kind, International Abstraction and the Guggenheim, 1949 – 1960, dove una panoramica davvero interessante ripercorre l’evoluzione verso un’arte “altra”. Il mio grande preferito: il dipinto arancione di Ellsworth Kelly.
E infine, last but not least, la grande mostraSchiaparelli & Prada: Impossible Conversations alMETROPOLITAN MUSEUM OF ART, l’impossibile incontro (ispirato alle interviste impossibili di Miguel Covarrubias per Vanity Fair negli anni Trenta), tra due stiliste vissute in epoche diverse e di provenienza e impostazione molto differenti ma per finire poi non tanto differenti, riprodotto in un video che segue il dialogo su origini di entrambe le stiliste, ruolo della donna e della moda nella società, visioni della moda come arte o meno, interpretazioni del proprio ruolo e del proprio stile.
Con l’Italia inizia e finisce questa carrellata di passi e ore nei musei newyorchesi, per i quali, anche solo, vale sempre la pena fare un salto a New York.
SHARE
//