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September 27, 2012

“Una brutta storia” di Piergiorgio Pulixi, storie di delinquenti (la maggior parte in divisa)

Daniele Rielli

L’unica cosa semplice in “Una brutta storia” Piergiorgio Pulixi è il titolo. Per il resto il romanzo dello scrittore cagliaritano cheè stato ieri a Trento al centro sociale bruno e alla libreria Bookique, è una complessa saga con una pluralità di personaggi sapientemente definiti, ognuno con un passato e un presente fatto di violenza e sopraffazione. La particolarità di questo libro uscito per la collana Sabotage di E/o curata dal maestro del noir Massimo Carlotto è che la metà dei delinquenti che ne abitano le pagine indossano la divisa della Polizia di Stato. “Una Brutta storia” è infatti il racconto di quasi 500 pagine della lotta fra un gruppo di poliziotti corrotti capitanati dall’ispettore Mazzeo con un potente clan della mafia Cecena, in una non meglio identificata città del nord Italia. La mancanza di un indirizzo preciso è l’unica concessione che Pulixi fa alla fantasia, per il resto la storia è puntuale, documentata e pur essendo fiction lascia intravedere dentro di se l’ombra di alcuni episodi di cronaca degli ultimi anni.

Dove nasce l’idea del libro?

Dall’osservazione della cronaca, per capire come sta evolvendo la criminalità e quella parte di società che è sotto l’ombra della criminalità. Sono rimasto colpito dall’arresto di 16 poliziotti appartenenti alla stessa sezione, in Puglia, per associazione a delinquere. Erano in “attività” da più di dieci anni. Da li mi è sorta la curiosità di indagare sul fenomeno della corruzione nelle forze di polizia. Mi sono reso conto che nonostante la stragrande maggioranza dei poliziotti siano onesti, esiste una zona d’ombra di corruzione. Una giornalista, Federica Angeli, ha realizzato un’inchiesta sullo scandalo del sottocomando dei NOCS. Angherie, soprusi, e atti intimidatori con, a quanto emerge dall’inchiesta, il beneplacito dei dirigenti. Era la squadra degli operatori che liberarono Soffiantini, la stessa notte in cui l’ispettore Donatoni veniva ucciso dai colleghi. Secondo la giornalista ci fu una sorta di “patto di sangue” davanti al cadavere grazie al quale 5 operatori tenevano sotto scacco dirigenti e alti funzionari. Una storia da romanzo. Ne ho incontrato diverse altre durante i tre anni di stesura e documentazione.

Sa di poliziotti che hanno letto il libro? come hanno reagito?

Il romanzo è al di là di tutto un romanzo d’intrattenimento. I poliziotti che l’hanno letto sono stati tutti abbastanza concordi nell’affermare che lo stato di abbandono e di ostilità da parte di alcuni cittadini e quasi da parte dei vertici è veritiero ed è quello che loro provano ogni giorno a combattere una guerra impossibile senza mezzi adeguati e abbandonati dalle istituzioni che dovrebbero proteggere e salvaguardare il loro lavoro. Fanno un lavoro davvero difficilissimo, praticamente abbandonati dalle istituzioni.Nel romanzo emerge che la politica ha una grossa responsabilità nella cattiva gestione del comparto Giustizia, ed è esattamente quello che mi hanno riferito le persone che ho intervistato.

Il gruppo di poliziotti del libro vede se stesso come una famiglia, all’interno della quale valgono regole di solidarietà e rispetto che non valgono per chi è fuori. Quanto questa dinamica di “clanizzazione” è specifica delle forze di polizia e quanto è un atteggiamento diffuso in tutta la società?

È molto presente tra chi indossa una divisa per il meccanismo psicologico ti porta a identificarti nel gruppo, in quella divisa e nelle persone che come te la portano. Il fatto di condividere turni massacranti, ingiustizie, stato di abbandono, delusioni, vittorie e sconfitte, ti porta a maturare un forte spirito di corpo e fratellanza; queste persone darebbero davvero la vita per un collega, mi è parso di cogliere che arrivino a fidarsi solo di loro, anche più dei partner. Più in generale tutti abbiamo bisogno di quella sicurezza che proviene dal riconoscersi in un gruppo che ti faccia sentire meno solo in una società individualista.

Gli antagonisti sono dei mafiosi ceceni, perché questa scelta?

Della Cecenia, delle guerre, e di ciò che sta accadendo in quella terra non si parla più. Molti ex ribelli si sono dati alla criminalità, inizialmente per difendere la popolazione, con i proventi del traffico di droga e il mercato nero di gas e petrolio; poi l’insoddisfazione e la disillusione li ha portati a valicare totalmente la linea morale, e sono diventati dei mafiosi tout court. Pochi conoscono la mafia cecena, ma secondo gli inquirenti arriva a essere più violenta e pervasiva di quella russa, anche perché ha un forte legame col terrorismo islamico.

è già al lavoro sul prossimo romanzo?

Sto lavorando sue due fronti. Il primo è il seguito di “Una brutta storia” che è un progetto letterario lungo e complesso, simile quasi a una serie tv con le sue diverse “stagioni”. Il secondo è un libro che sto scrivendo insieme al Collettivo Sabot di cui faccio parte e che sarà ambientato a Madrid, sul narcotraffico.

Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 26 settembre 2012

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