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September 13, 2012

Gesti da Museo. Museo Provinciale Degli Usi e Costumi di Teodone

Bruna Maria Dallago Veneri

Parlare del Museo di Teodone significa evocare una serie di itinerari culturali, geografici, storici e paesaggistici locati in quello che più che museologia è una serie di gesti da museo.

Sottolineo la parola gesti perché, entrati in questa magia di Teodone, si è immersi in una serie di memorie di saperi, una messa in scena del quotidiano passato e presente, uno scenario come percorso e  un giardino come contesto. I gesti che ci sono suggeriti da spazi ed oggetti evocano al vita dell’uomo e gli oggetti ci fanno rivivere tempi e situazione che, di solito, nelle esposizioni cosiddette museali, possono rimanere muti. Un museo che spinge ad immaginare gesti e situazioni, un fare per sapere, fare per saper vedere.

Subito ci si presenta la costruzione con la sua facciata rossa che troneggia sul paesaggio. Ludwig von Steub, bavarese, scrittore di itinerari di viaggio, la trovò degna di descrizione già nel 1870. Passò di qui, notandola come “costruzione imponente”, anche l’Imperatore Francesco Giuseppe I d’Austriache fu a Teodone nel 1886.

L’architettura della residenza consiste in un grande maso contadino pusterese che viene già citato nell’Urbario primitivo del Contado di Gorizia con il nome di Meierhof, e che è rimasto intatto, almeno come costruzione, fino ai giorni nostri. Intatta è anche la forma primaria di una stube, un guscio di legno che conta più di mille anni.

Il barone Wenzel von Sternbach, nel XVII secolo edificò in residenza la costruzione dove c’era il maso contadino,aggiunse anchela cappella privata. Illustri maestri d’arte sacra ne hanno curato l’arredamento.

Di grande interesse è anche la farmacia di casa e gli strumenti del cerretano, il medico contadino Sebastian Ragginer di Luson. Alla Residenza è allegato un fabbricato rustico che ospita officine artigianali, cariaggi, attrezzi agricoli di ogni tipo, raccolte di campanacci e corone per le mucche che scendono dall’alpeggio, e finimenti in cuoio finemente lavorati.

Poi, su uno spazio di circa 3 ettari sono stati ricostruiti gli edifici ordinati come tipologia di masi, fattorie di alta montagna, con le adiacenti costruzioni, fra i quali un granaio che risale al 1495-97, una delle più antiche opere di carpenteria dell’arco alpino orientale. Uno spazio di natura in sé naturale, ma artificiale in rapporto al luogo perché conserva le tracce dell’intervento umano.

Il percorso, il viaggio come lo ho chiamato, passa attraverso stalle, fienili, giardini, mulini ed altre opere azionate dalla forza dell’acqua. Fontane in cui tutto il villaggio tornava mattina e sera per abbeverare gli animali, per attingere, a lavare, a sciacquare. Sciabordio di acque e silenzi, acqua che è la vera linfa dei masi di montagna

Un museo che parte dalla casa come custodia di azioni e memorie per svilupparsi all’aperto sollecitando i gesti antichi, ma sempre uguali . Al visitatore- viaggiatore questo museo da il tempo di ricollocare il nuovo sapere fra gli antichi saperi. Resa magistrale di ambienti, colori, paesaggi che aiutano a capire, a ricordare. Un museo in fondo non naturale, costruito dunque, ma fatto con la gente, sulla gente, con la Storia, ma sulle storie attraverso la Tradizione e sulla tradizione. Un museo che ha la capacità non solo di suscitare, ma di riproporre i ricordi, facendoci ri-passare all’indietro la nostra storia fino alla terra, la nostra realtà prima ed ultima.

Termino con un passo di A.de Saint-Exupéry da Terre des Hommes

“La terra fornisce, sul nostro conto, più insegnamenti dei libri. Perché ci oppone resistenza. Misurandosi con l’ostacolo l’uomo scopre se stesso. Ma per riuscirci gli occorre uno strumento e un gesto. Gli occorre una pialla, un aratro. Nell’arare strappa alcuni segreti alla natura, e la verità che egli estrae è universale”.

www.volkskundemuseum.it

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