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September 11, 2012

New York stories #01. Memorial 9/11

Cristina Vezzaro
Casa a New York questa volta è di fronte a Wall Street, ovvero a un solo isolato da Ground Zero. Che adesso però non è più Ground Zero, ma è diventato qualcosa: il 9/11 Memorial.

Per visitarlo è sufficiente munirsi di un pass online o all’ufficio di accoglienza al 20 di Vesey Street, tappezzato da immagini dell’11 settembre e da gadget in vendita con cui l’associazione si autofinanzia: tutti quelli che ci lavorano sono infatti volontari. Prima di partire per il dovuto pellegrinaggio si può registrare in tre minuti e in qualsiasi lingua del mondo la propria storia, la storia di dove si era o cosa si stava facendo o cosa si ricorda di quel giorno di 11 anni fa in cui il mondo si fermò a guardare le due torri simbolo di New York crollare su se stesse.

Da Vesey Street si procede quindi parallelamente a Broadway e si seguono le frecce; dopo i controlli ci si mette in fila e mentre ci si avvicina al Memorial inevitabilmente ripassano in mente tutte le immagini di quella follia, lo sbalordimento davanti a quelle morti, la paura dell’ignoto, l’incertezza del futuro.

Oggi fa molto caldo, ma la gente in coda rimane composta, raccolta, tutti si sentono piccoli davanti a quell’enormità. E quando si accede all’area che circondava il World Trade Center, la commozione invade tutti quanti, impossibile non sentirla. I monumenti commemorativi sono molto suggestivi: due buchi del perimetro delle due torri, scavati proprio dove sorgevano le due torri, con delle fontane che scorrono e si perdono nel fondo di questi due buchi e la pietra perimetrale su cui sono incisi, uno dopo l’altro, i nomi di tutte le vittime: le vittime delle due torri, degli aerei in mano ai terroristi, di Washington e del primo attentato alle Torri Gemelle del 1993. Tra i due un museo ancora in fase di costruzione, un museo che racconterà la storia tragica di quel luogo. E ai nomi – già così vivi, tangibili, impressionanti, a cui sono legate una, mille, cento vite – si aggiungeranno anche i volti e le storie di tutti quegli esseri umani che lì sono morti. Viene da pensare che per tutte le vittime innocenti di attentati, di guerre ingiuste e di crudeltà nel mondo dovrebbero esserci altrettanti monumenti commemorativi. Ma il fatto che non ci siano per tutti non significa che non ci si possa raccogliere qui, per queste vittime.

Riprendere a camminare per le strade di New York non è facile. “Da downtown vedevi risalire la città, lungo le avenues, morti viventi, persone in stato di choc che percorrevano decine di chilometri per rientrare a casa e rassicurare i propri cari”, mi racconta Janet, un’amica newyorchese nei cui occhi si legge ancora l’incredulità di quei giorni. Al tempo, dall’Upper East Side andava a Brooklyn a lavorare: “Per mesi nell’aria c’era un odore fortissimo, di morte e di calcinacci, e di morte.” Come quasi tutti i newyorchesi, se non conosce direttamente qualcuno che è morto negli attentati alle Torri conosce qualcuno che conosce qualcuno che è morto o che ha perso direttamente un caro. È stata una tragedia locale, oltre che planetaria, che rivivo attraverso le sue parole: “La caserma qui accanto è quella che ha perso più uomini,” ricorda Janet. E da immagini lontane alla televisione i volti assumono le fattezze del vicino di casa, dell’uomo all’incrocio, della donna alla cassa.

Anche questo fa parte di New York, e l’avanzamento dei lavori di costruzione di One World Trade Center, la Freedom Tower, ne è la dimostrazione più concreta e tangibile: New York incassa, e va avanti. Ma non dimentica.

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