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August 22, 2012

Welcome to Bali #08: Bali Ubud

Cristina Vezzaro

Il mattino ci accoglie con un acquazzone potente che sembra spegnere ogni programma per la giornata. (Questo? Non è niente, ci assicura Wayan). Ma dopo un paio d’ore si ferma e si riaprono le possibilità, per cui partiamo al volo. Destinazione: UBUD.

Forse c’è ancora qualcuno che non conosce il libroEat, Pray, Love, (Mangia, Prega, Ama) di Elizabeth Gilbert, bestseller da cui è stato tratto un film con Julia Roberts nei panni della protagonista che in Italia mangia, in India prega e a Bali trova l’amore. Ad ogni modo, per farla breve, dopo aver resistito a lungo, alla fine, pochi mesi fa questo libro l’ho letto anch’io. E forse anche per questo sono capitata a Bali, con quel genere di decisioni inconsapevoli o piuttosto inconsce di cui è costellata la nostra vita.

Come me, lo hanno fatto altre migliaia di persone, soprattutto americani e anglofoni in generale, e Bali, dopo Eat, Pray, Love, non è più stata uguale. Deirdre, la mia amica australiana, me lo sussurra sottovoce “Lo conosci il libro? Ecco, la produttrice del film abita qualche villa più in là”. Ebbene, ne prendo atto. Ma a protagonista, si sa, fa base a Ubud, in teoria per seguire una guida spirituale poco fuori Ubud, che da quando è diventato famoso ha risolto i suoi problemi (e da cui io non vado solo perché con gli indovini ho chiuso, come raccontavo qualche post fa).

Tutto questo per dire che nonostante la recente popolarità di Ubud, Ubud è sempre stata una meta da prediligere a Bali. A differenza delle altre destinazioni, infatti, è nell’entroterra collinare e non attrae quindi le folle amanti solo del mare. Ma il fascino di Ubud lo scopriamo soprattutto avvicinandoci.

Sulla strada ci fermiamo a Mas, che è un paese noto per l’artigianato locale e dove vediamo lavorare il legno e il batik. Alcune delle case che incrociamo per strada sono sontuosamente decorate, sembrano palazzi reali. Quella è la zona dei venditori di oro e argento, che evidentemente di soldi ne fanno, a giudicare dai palazzi che si costruiscono, alcuni decorati addirittura con giganti rane bianche.

Quando arriviamo a Ubud, dove certo non mancano i turisti, ci accontentiamo di una passeggiata. Ci sono strade con negozi di design, artigianato artistico locale di alto livello e prezzi da turisti occidentali. Poi invece negozi più semplici, comunque tanti, negozi, ristoranti, tanto di tutto, seppure tutto qui sembri un po’ più autentico.

In un campo di calcio semiallagato ragazzini corrono dietro un pallone e mio figlio per poco non si lancia giù per la collina per raggiungerli. Dall’altra parte del campo, file di ragazzini con addosso dei cartelli stanno sull’attenti in ascolto di un poliziotto. La scena sembra ricordare campi di lavoro, ma a domanda mi viene data risposta: stanno insegnando loro a marciare per imminenti commemorazioni. Nella mia mente si formano vaghe associazioni mentali e visive con eserciti di soldatini coreani o cinesi che si muovono a ritmo in una massa unica.

Lasciata Ubud passiamo per Tegallalang, dove le terrazze di riso parlano di una tradizione antica quanto necessaria, in un paesaggio collinare, per un’alimentazione largamente basata sul riso stesso. Parlano di fatica e di necessità, un contrasto netto con la bellezza che emanano. E lì, lungo la strada, altro artigianato locale. Wayan (qui si chiamano tutti Wayan o Ketut ed entrambi i nomi vengono utilizzati sia al maschile che al femminile, per aumentare la confusione) vende splendide scacchiere portatili tutte intagliate a mano mentre Ketut, accanto, vende invece oggetti in vetro soffiato.

Sulla strada del ritorno non sfuggono al nostro occhio le montagne di rifiuti. Se nelle località turistiche, infatti, è stato organizzato un sistema di raccolta, nel resto del paese viene lasciato tutto al caso e all’individuo. E se oramai l’occhio si è abituato all’alternarsi, per strada, di case finite e calcinacci, di persone scalze e donne con i pesi in testa, di motorette con il casco e biciclette mezze andate, un nuovo elemento colpisce la retina (e l’olfatto).

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