Per raggiungere Bali da Singapore ci vogliono un paio di ore di aereo, ma subito ci accorgiamo che ci stiamo spostando ulteriormente verso est nonostante il fuso rimanga lo stesso: la notte, infatti, cala prima ancora.
A Bali ci aspetta la casa di un’amica australiana che ha mandato all’aeroporto Wayan, il suo autista, a prenderci. È così che appena usciti dai controlli ci facciamo largo tra cartelli di ogni genere e tipo e troviamo il nostro Wayan, che cordialmente ci saluta e piano ci fa strada tra i bagagli e la confusione generalizzata dell’arrivo.
A Singapore per strada non c’era quasi traccia di poliziotti né di vigili, mentre qui sembra di muoversi in una giungla di macchine e vigili che in questo traffico di prima serata si spostano a tre a tre e non fanno altro che agitare una specie di torcia luminescente per indicare alle persone che devono andare tutte nella direzione in cui stanno già andando. Dopo la calma e la tranquillità, l’ordine e il silenzio di Singapore, Denpasar ha il gusto di un’esplosione, per ora più che altro di vita e di rumori. I colori li scopriremo con la luce, domani.
Mentre lentamente ci muoviamo nel traffico serale fatto di turisti e autisti e una marea infinita di motorini che suonano e zigzagano ovunque, mi abituo rapidamente all’idea che Bali sia ben lungi dall’essere un’isola deserta dell’arcipelago indonesiano.