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August 2, 2012

Gita in Malesia #03: Malacca oggi

Cristina Vezzaro

Quando arriviamo alla stazione degli autobus e scendiamo ci accorgiamo subito di essere in un altro mondo. Vorremmo comprare qualcosa da mangiare ma non hanno ovunque la carta di credito, quindi andiamo alla ricerca di un bancomat e ritiriamo i ringgit malesi prima di metterci in cammino per il centro città.
Le strade attorno al centro sono trafficate ma di un traffico composto; a confondere è solo il piano urbanistico che sembra un po’ vago. Ma lungo i viali, in quelli che noi chiameremmo controviali, si susseguono basse palazzine con negozi di ogni sorta al pian terreno e persone sedute fuori ad aspettare. Il caldo è massiccio, meno umido di quello di Singapore, ma più caldo.

Arriviamo quindi alle porte della città che, ci ricordano, dal 2008 è World Heritage. E iniziamo la nostra visita da una GuestHouse vicino a Chinatown, dove ci accolgono gentili e ci indicano cosa vedere mentre noi ci riprendiamo dal viaggio in un taxi malandato che era fermo al sole da un paio d’ore e non disponeva di aria condizionata.

Passeggiare per Malacca è passeggiare attraverso la storia. La rossa chiesa protestante lasciata dagli olandesi nella piazza centrale in cui sono allineati i risciò e una coppia di sposi fa le foto del matrimonio; lo splendido tempio Cheng Hoon Teng che si intuisce subito essere un luogo di intensa spiritualità oltre che magnifico esempio di conservazione del patrimonio culturale e dove ci si sente per qualche istante a casa, whatever that means; e la moschea, poco più lontano, dove tranquillo c’è chi legge un giornale e ci rivolge un gentile sorriso; o ancora il tempio hindu poco più in giù, anche quello aperto per la preghiera.

Le case portano le tracce di chi da lì è passato nel tempo. Dai portoghesi agli olandesi agli inglesi. E dal rosso della Stadhuys i colori sembrano essersi sparsi in forme impazzite su tutte le costruzioni del centro storico, con un risultato di vivacità e allegria uniche. Al piano terra di queste costruzioni ci sono locali e negozi, case e laboratori, vita spontanea e vita adattata per accogliere i turisti e trasformare la necessità di sopravvivenza in un’economia. Con rispetto della propria storia, però.

Guesthouses che sorgono in case storiche e dove per 15 euro a notte si può dormire. Le case che affacciano sul fiume, da sempre fonte di vita e commercio. Negozi di souvenir, sì. Ma anche artigianato locale. Batik. E frutta fresca venduta per strada da una vecchietta che ha bisogno di lavorare. Succhi con gli incredibili frutti del luogo. Il laksa, il piatto locale, cucinato con maestria. E i risciò, che da un lato sembrano fuori tempo e fuori luogo, dall’altro sono un modo onesto che qualcuno – per quanto magro o vecchio – si è inventato per guadagnarsi da vivere. La gentilezza sottile di un popolo che del rispetto e dei modi fa uno stile di vita. E che si dimostra grato per poco. L’inglese lo parlano poco, soprattutto i malesi, ma con il linguaggio degli occhi si riesce spesso a comunicare. Ed è così che entriamo nel mondo di una giovane donna che si sta dedicando con cura alla sua tela in batik e che ci insegna qualche trucco, dalla polvere di sapone per ammorbidire il pennello alle sfumature da fare.

Per i bambini è un primo contatto con un mondo molto diverso da quello occidentale a cui sono abituati. E questo non manca di colpirli. E di rattristarli­. Spetta allora a me mettere in luce la dignità di una vita non necessariamente ricca all’occidentale, la dignità di lavori che possono parere umili ma a differenza dei privilegi scontati insegnano la gratitudine e la semplicità. E di spiegare che c’è ancora tutto un mondo in cui purtroppo non c’è nemmeno questa forma di guadagno e sopravvivenza possibile. E dopo una giornata a Malacca cresciamo tutti un po’ insieme.

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