Music

July 20, 2012

Joan Baez: l’usignolo di Woodstock… a Trento!

Jimmy Milanese

Erano gli anni sessanta, quelli. Il punto di partenza era stato un autobus dell’Alabama in una qualsiasi giornata del 1955. Il punto d’arrivo, il vomito maledetto nel quale Hendrix è affogato nel settembre del 1970. Come tutte le rivoluzioni, i Sixties sono iniziati un poco prima e sono finiti un poco dopo. In quegli anni, i ragazzi amavano i Beatles o i Rolling Stones. Il vento della rivoluzione e della resistenza arrivava da Berkeley, Stati Uniti d’America, e passava per la Sorbonne, Parigi. Il loro capo ufficio stampa aveva la tunica bianca, girava in furgoncino VW, predicava la pace e scriveva versi brevi, e si chiamava Allen Ginsberg.

Cantavano Help o Ticket to Ryde, Lady Jane o Yesterday. Amavano la libertà e protestavano affinché potesse essere condivisa con gli altri. I Sixties erano come un’immensa jam session alla quale tutti potevano contribuire liberamente con i propri riff: potenza e limite di quegli anni.

Gran parte dei contenuti di questo movimento era già presente nella società americana degli anni Venti, Trenta, Quaranta e Cinquanta. Due cose erano evidenti a Woody Guthrie (1912-1967) quando cantava No Depression in Heaven della Carter Family. Il sogno americano era annegato da un bel pezzo: «Vado dove c’ è depressione / in quella bella terra senza problemi / lascerò questo mondo di fatica e di sofferenza / la mia casa è in cielo / e io vado lassù». Secondo Mike Seeger e John Cohen, nel 1964, l’America era un cumulo di New Lost City Ramblers. Guthrie, musicista di frontiera e nomade della grande depressione americana, queste cose le aveva imparate da un lustrascarpe nero che gli aveva insegnato a suonare l’armonica. Con l’armonica Guthrie si guadagnava qualche soldo ai margini delle strade impolverate o nei saloons dell’America degli anni trenta. Per loro stessa ammissione, Chuck Berry, Bob Dylan e Bruce Springsteen hanno imparato a scrivere e interpretare musica da questo folk singer di Okema, Oklahoma.

Sostenere che gran parte della musica Rock di protesta la si deve ad uno sconosciuto lustrascarpe sarebbe forse troppo, ma sicuramente non offenderebbe chi quella musica l’ha creata. Guthrie ha insegnato a tutti che esistono tante americhe parallele, quella dei neri, quella solita dei lavoratori sottopagati della grande industria, quella dei poveri, degli hobos e dei disoccupati, e lo ha fatto con una chitarra ed un’armonica, senza armi e tritolo, come invece dalle nostre parti…

Il fatto eccezionale, che ha reso veramente indimenticabili gli anni Sessanta, risiede nel processo di massificazione di queste istanze politiche, sociali e culturali, attraverso gli strumenti della protesta come i grandi raduni Hippie, il vagabondaggio, la musica Rock, la letteratura Beat e le sostanze psichedeliche. Dentro questo mondo nasce, cresce e diventa quello che oggi sappiamo, una ragazzina newyorchese dal nome sensuale, Joan Baez.

Di quei giorni, quando lei, giovanissima, inizia la sua ascesa all’Olimpo della leggenda, rimane pochissimo, o forse niente, e forse è meglio così. Joan è una cantautrice particolare, se pensiamo alla sua carriera che iniziò nel 1959 al Newport Folk Festival. Difficile ricordare qualche brano da lei composto… «Here’s to You», impossibile non sapere della sua esistenza. Come quando nel 1963 a Washington esegue «We Shall Overcome» alla marcia di Martin Luther King, oppure quando chiude la prima giornata del Festival di Woodstock, ormai al sesto mese di gravidanza, e ancora con lo stesso brano. Poi arrivano le relazioni pericolose con Bob Dylan e diversi altri personaggi del mondo della musica, ma lei non cambia di molto. Alza la voce in punta di piedi e con quel garbo da vera signora,  mancato a gran parte del movimento che la ha eretta a icona politica. Il suo spazio è quello una volta occupato da Guthrie, con la variante del pacifismo in tempo di Vietnam.

L’altra sera, a Trento, mi tremavano le gambe. Lei era lì, come se nulla fosse, catapultata in un punto della terra lontano mille miglia da quella sua America e da quel suo passato. Era come trovarsi di fronte alla Statua della Libertà che s’inchina per darti la mano. Piazza delle Fiere gremita che cantava e applaudiva una donna scalza, con una chitarra in mano e un foglietto per esprimersi in italiano!

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There is one comment for this article.
  • laurence · 

    Joan baez je n’ai jamais idolatré personne. Je ne serais jamais une fan de personne.
    Naturellement je ne dois rien attendre ni de vous ni de personne.
    Pourtant je veux un bracelet à mon poignet signé de vous, pour des raisons très très très personnelles.
    C’est moi qui chante discrètement avec vous sur de nombrueuses vidéos .Même vos fans ne savent pas , qui je suis, même eux n’entendent à peine. L’on me dit que vous êtes morte , moi aussi, alors avant votre vrai départ physique, avant vos autres morts , que j’ai évidemment vu au regard de toutes vos vidéos. je veux ce symbole d’un bracelet que j’emporterais partout aussi symbolique qu’une grande cause., vous n’aviez pas envie de dire que vous aviez vécu cette par d’homosexualité , qui n’est que le reflet de son soi, que n’importe quelle autre femme comprend, au travers d’une soeur ou d’un ailleur. Je vous aime , mais cela devrait vitte me passer , parceque vous me faîtes vous souffrir avec votre silence, ou votre ignorance de mon existence, je vous en veux un peu , mais je vous pardonnne aussi, pour autant, je ne veux pas vous laisser vieillir , moi aussi j’ai veillis finalement….
    j’aime les hommes et une femme finalement , pas tous évidemment , car la femme est quand même largement plus belle en fin pas toutes non plus…..enfin voilà …..PENSEZ Y UN PEU MERCI
    Cela fait un peu aumone ma foi…… c’est peu sade…….cela dit merci d’avoir été un professeur de chant , ce sera ma première….. laurence mon tél est sur certaines le vidéos , il n’y a qu’une personne qui chante comme cela avec vous pour l’éternité j’espère , comme un genre d’esprit vagabond , comme une ame, un peu en peine , mais vraiment sans haine…..