Music

July 17, 2012

Venerdì 20 Apocalyppo Now! Intervista a Johnny Mox, predicatore di provincia

Marco Bassetti

Un “pool party” in piena regola con drinks, gavettoni e buona musica: Disquieted By (hardcore’n’roll, Firenze), Fugitive (post-rock, Bolzano) e Johnny Mox & The Moxters Of The Universe (gospel-noise + tamburi, Trento). Questo è Apocalyppo Now! Summer 2012, festival che presidierà, con tanto di free camping, il Parco Hotel Ciclamino di Pietramurata (TN) venerdì 20 luglio. Uno degli sshhoowwss firmati We=Trouble, ribollente contenitore/collettivo attivo nel sottobosco trentino. We=Trouble, come la sentenza lapidaria che incornicia l’ultima opera del predicatore Johnny Mox, un obliquo e succosissimo saggio in musica sul potere creativo/sovversivo del looping, come già detto uno degli album imperdibili dell’anno in corso. E forse di quelli a venire. “We are trouble: siamo noi il problema, noi siamo la ferita, non siamo più il cerotto, la soluzione”. Ne abbiamo parlato direttamente con Johnny, al secolo Gianluca Taraborelli.

Cominciamo dalle presentazioni. Chi è Gianluca Taraborelli e chi è Johnny Mox?
Io sono Peter Parker e lavoro al Daily Bugle. Gianluca invece è uno che passa le giornate ad arrampicarsi come un ragno, si sveglia prestissimo e vuol far troppe robe.

Hai dichiarato in un’intervista “La provincia è l’unica scuola che io abbia mai avuto”. Cosa rappresenta per te la “provincia” e cosa ti ha insegnato?
In Italia “provincia” vuol dire prima di tutto cultura. Tutto il meglio, da Fellini ai CCCP, arriva dalla provincia. Prima di Internet chi viveva fuori dalle grandi città era costretto ad ingegnarsi, ad immaginare con fervore e a fare i conti con una società che dava troppi buoni consigli non potendo dare il cattivo esempio. Ora che c’è internet la centralità non ha più ragion d’essere, fare network è più facile, e non fa più tanta differenza vivere in posti sperduti. Se invece parliamo della Provincia, quella Autonoma con la P maiuscola, mi ha sicuramente garantito istruzione e servizi eccellenti, ma in troppe occasioni ha significato chiusura e mancanza di ambizione.

Arriviamo a “We=Trouble”, dove il loop diventa forma espressiva per rappresentare una situazione di immobilità, di stagnazione, dove tutto si ripete sempre identico. C’è un riferimento alla situazione italiana o è una riflessione più ampia sulla condizione umana?
Il disco è costruito sulla tecnica del looping, che mi permette di lavorare sovrapponendo armonie vocali e beatbox. I pezzi in We=Trouble parlano di mancanza di condivisione e di opportunità. C’è un grosso tappo, una massa marrone scuro inzuppata di capelli che ostruisce tutto, sia in entrata che in uscita. Tutti stiamo facendo le spese dei fallimenti della politica e dell’economia, le difficoltà non ci stanno però facendo avvicinare come accadde ai nostri nonni.

Forma e contenuto si richiamano e si rispecchiano e si confondono… “Now that we have the means, we don’t have the goals”, una rappresentazione impietosa della situazione contemporanea, dominata dalla ripetitività della tecnica, dall’economia, dalla cieca razionalità della finanza. Con l’anima stritolata in questi ingranaggi, dove rintracciare nuovi “goals”, su Facebook?
L’obiettivo in questo momento è riuscire a condividere di più con gli altri, ritrovare un senso vero di comunità fuori da Internet. Ovviamente sto fallendo miseramente.

Nel disco si scorgono riferimenti al gospel e agli spirituals. Nella visione del predicatore Johnny Mox c’è spazio per la redenzione?
Sono molto attratto dalla musica religiosa, dove la ripetizione diventa in qualche modo una forma di preghiera e un tentativo di contatto, prima di tutto con il prossimo. I cori, da quelli di montagna agli spirituals, riescono a raggiungere apici di potenza devastante. Ogni membro del coro diventa una cassa di risonanza per le altre voci, che vibrano ognuna incastrata alla perfezione dentro l’altra. Un giorno avrò un coro tutto mio e come i vecchi bluesman del Delta mi redimerò, fino alla prossima sbronza.

Fermiamoci un attimo su quella meravigliosa copertina, opera di Armin Barducci.  Così semplice, elementare, pop, e al tempo stesso così inspiegabilmente perturbante… Che rapporto intrattiene con la poetica del disco?
Quando l’ho vista l’ho trovata perfetta. Nonostante Armin sia un gigante dei dettagli e della minuzia, lui ha pensato di disegnarla il meno possibile. E ha fatto centro. C’è qualcosa di storto e di selvaggio in quei pochi tratti, penso che riflettano bene il contenuto dell’album. Il concept del cerotto e delle ferite me lo porto dietro da molti anni… Ai tempi del mio primo gruppo usavamo i cerotti per fare i flyer dei concerti, stampando le informazioni sul retro. We are trouble: siamo noi il problema, noi siamo la ferita, non siamo più il cerotto, la soluzione.

Cosa fa alzare Johnny Mox la mattina dal letto?
L’alzabandiera.

yohnnymox.com

wearetrouble.wordpress.com

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  • Fugitive @ Apocalyppo Now! Oltre il rock, il metal, l’hardcore. L’intervista · 

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