Scena Madre: intervista a Michele Abbondanza

16.07.2012
Scena Madre: intervista a Michele Abbondanza
Generations, lo slogan dell’edizione di quest’anno del festival Bolzano danza, dedicato all’incontro e al dialogo generazionale, sembra scritto apposta per Scena madre. Lo spettacolo della collaudata compagnia Michele Abbondanza/ Antonella Bertoni andrà in scena, sempre nell’ambito del festival, mercoledì sera al Teatro Comunale di Bolzano. Sul palco del Teatro studio insieme ad Antonella Bertoni, danzatrice e coreografa ci sarà sua madre Paola Faleschini, sulla soglia degli ottant’anni e che mai prima d’ora era salita sul palcoscenico.

Di Scena madre, di danza e dintorni abbiamo parlato con Michele Abbondanza, che ha curato la regia e insieme ad Antonella Bertoni la coreografia dello spettacolo in prima assoluta a Bolzano.

Michele Abbondanza, nell’altro vostro spettacolo Il ballo del Qua, già proposto in regione e che rivedremo anche in questo festival, a confrontarsi con la danza sono sette bambini, ora invece è una persona anziana, per di più non usa al palcoscenico, a danzare insieme ad Antonella Bertoni. Fa parte di una vostra ricerca?

Già da qualche hanno ci stiamo confrontando nei nostri lavori con persone un po’ speciali e straordinarie, i bambini appunto, come nel Ballo del Qua ma anche persone che qualcuno chiama diversamente abili, chi con una follia oppure ora con una persona anziana, come la madre di Antonella. Scena madre si inserisce i questo filone, dopo anche Fumatrici di pecore in cui Antonella divide la scena con Patrizia Birolo. Anche lì c’è un duo femminile con segni molto forti.

Cosa vedremo in questo spettacolo, come si muove una persona quasi ottantenne in scena?

Ce lo siamo chiesti anche noi; quando lavori con una persona anziana ci sono delle limitazioni, non puoi pensare di fare cose veloci, di correre o di fare movimenti a terra, di ballare. Un paio di anni fa però abbiamo lavorato ad un progetto importante con un gruppo di anziani nel sud Italia e ci siamo resi conto, pur sorprendendoci noi stessi, come in realtà ognuno può danzare. La danza, almeno nella forma come l’abbiamo vissuta e portata avanti noi in questi trent’anni di attività, non ha solo a che fare con la tecnica, con il movimento, con la bravura ma anche col sentimento, con la stessa voglia di comunicare, essendo innanzitutto una forma di comunicazione. Alla fine abbiamo raccontato comunque una storia, anche se non è una narrazione, sono immagini che raccontano di questa relazione al femminile tra madre e figlia. Abbiamo lavorato sugli sguardi, sui suoni, sui movimenti, sul dipingere quadri con le luci, con le musiche. Per capire lo spettacolo bisogna venire a vederlo, non glielo saprei spiegare neppure io.

Un’esperienza così, con il proprio genitore in scena, deve arricchire anche il rapporto personale tra madre e figlia.

Antonella ha voluto fortemente questa esperienza. Pur con tante paure voleva confrontarsi con la madre e cercare una nuova verità, perché la scena rivela molto, sulla scena siamo tutti nudi. A teatro le prove sono quasi delle sedute psicoanalitiche, se si pensa a tutti i pianti, alle liti, alle tragedie, ai rinfacciamenti. E poi niente come il teatro è “hic et nunc”, irripetibile.

In questo festival, e non è un caso, oltre a lei e Antonella Bertoni, ci sono altri coreografi che sono stati allievi di Carolyn Carlson, la stessa Carlson e ancora allievi degli allievi, tutti con sfaccettature diverse di un medesimo approccio, che vede la danza opporsi alla rigidità del balletto classico e ne fa piuttosto uno strumento di espressione quasi individuale.

Io la chiamerei una specie di anarchia creativa. Siamo tutti poeti del movimento, che hanno tradito in qualche modo il balletto tradizionale, per trovare nuove strade. A un certo punto la danza ha avuto bisogno di liberarsi dai passi precostruiti, dalle pastoie e dalla prigionia degli arabesque, per inventarsi miliardi, infiniti modi di muoversi. Come è successo nella pittura e nella musica nel secolo scorso. Nella trasposizione di queste idee dall’America in Europa Carolyn Carlson ebbe un ruolo fondamentale e noi imparammo da lei. Alcuni di noi hanno lavorato con lei a Venezia negli anni Ottanta oppure a Parigi. Nel teatrodanza c’è un avvicinamento della danza alle caratteristiche del teatro, con una narrazione, una recitazione e la necessità di una regia, di una drammaturgia, per trasformare, come in un sogno, un movimento quotidiano come mangiare, camminare, dormire in una poesia del movimento usando anche le parole.

Foto Giacomo Raffaelli

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