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July 10, 2012

Vi sto scrivendo da Singapore #05: Chinatown 2

Cristina Vezzaro

“Every face has a story to tell and every story seeks to be heard”.

È questo il motto del Chinatown Heritage Centre, museo che sorge nei luoghi che furono shophouses in cui immigrati poverissimi vivevano in condizioni pressoché disumane. Dagli inizi, quando i soli uomini arrivavano dalle province cinesi più povere per cercare lavoro e un futuro migliore in quella che sembrava essere la terra promessa, perdendosi tra prostituzione e oppio, al lento insediamento di intere famiglie fino all’avvio di attività commerciali anche prosperose, il museo ripercorre attraverso le facce e le voci di alcuni dei protagonisti la storia recente di questa parte del pianeta.
Come il Tenements’ Museum di New York, anche questo museo ricostruisce le diverse storie nei luoghi che furono teatro di vicende umane. E mostra in immagini i cosiddetti cubicoli che ospitavano per poche lire gli affittuari, più ricchi quelli che avevano accesso alle finestre, meno quelli che vivevano in stanzette completamente al buio. Tutti condividevano cucina e servizi, dove tuttavia regnava il “sistema del secchio”, come lo chiamano qui, con evidenti problemi di igiene e salute. Attorno al cavedio centrale della struttura, da cui proveniva la luce, si riunivano in una vita comunitaria forzata.
È proprio attraverso i volti di queste persone che le loro storie diventano vive e toccanti e in questo consiste la forza di questo allestimento.
Chinatown continua con le molteplici bancarelle di oggetti per turisti e souvenir da poche lire, tecnologia e cibi vari nel Food Market. Girando in Temple Street alcune insegne equivoche parlano di Sensual Massage, e in un vicolo laterale una bella donna orientale dai capelli abilmente raccolti e un elegante abito avvolgente conferma, nel contrasto con la sedia di plastica perduta tra i fili della luce su cui siede, lo squallore dell’offerta. A un tavolo, un gruppo di tedeschi colleziona bottiglie di birra e il cliché dell’Oriente sembra di colpo prendere forma sotto i nostri occhi.
Fino a quando, in Trengganu Street, non ci imbattiamo in Eric e nel suo Wuerstelstand, dove fanno bella mostra, anziché gamberetti e funghi, Frankfurter e Gurken. Lo avevo trovato su tutte le guide e glielo dico: sei famoso, Eric, lo sai vero? “Sono in una buona posizione, per questo sono diventato famoso”. Schiva la domanda, Eric. Fino al secondo giro di wuerstel e senape, quando passo al tedesco, che l’austriaco Eric nemmeno indaga da dove venga. “Come si sta qui, Eric?” “Si sta bene,” dice, “qui non ci sono la rabbia e l’aggressività che ci sono in Europa; qui ognuno pensa per sé.” Ed è quello che ha fatto lui, da 15 anni a Singapore ma da 8 in pensione e che ora per vivere vende Wuerstel Semmelen a meno di 1 euro l’uno. Lascio Eric con il suo cellulare in mano e proseguiamo lungo il Food Market, dove uno degli addetti a ripulire il tavolo non esita a mangiare da un vassoio che ha appena ritirato. La sua magrezza e vecchiaia, insieme a quel gesto rapido e furtivo, sembrano raccontare una storia non troppo lontana da quella dei tanti protagonisti del Chinatown Heritage Centre.

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