Music

July 7, 2012

Grand Pianoramax: improvvisazione e suoni del terzo millennio

Luca Sticcotti

Idee musicali come aria per respirare. Il jazz è fatto di tante cose non solo di mainstream made in USA, funambolismi fine a sé stessi e scimmiottanti dei “grandi”. Lo hanno potuto apprezzare i 200 che l’altro ieri si sono dati appuntamento al parco delle Semirurali ed hanno assistito ad una performance in grado di muoversi con agilità su più dimensioni. Innanzitutto lo spazio-tempo: il progetto Grand Pianoramax è saldamente nelle mani di Leo Tardin, uno svizzero di Ginevra che si è “urbanizzato” per qualche anno negli USA prima di ritornare in Europa a frequentare le scene “progressive” Berlino, Parigi e Bristol, e quindi finalmente estendere la sua attività worldwide, includendo Mombai e il Canada. Al parco delle Semirurali Tardin si è presentato insieme al fido batterista connazionale Dom Burkhalter ed al giovane rapper newyorchese Black Cracker, dalle grandi capacità comunicative. Vedere saltellare Black Cracker a pochi passi dalle rovine medievali dell’originale convento di Santa Maria in Augia è stato davvero un flash notevole, in grado di inchiodare i presenti seduti sulle gradinate dell’anfiteatro naturale o sui prati circostanti.

La musica di Grand Pianomax scaturisce dall’originale sintesi operata da Tardin di minimalismo, pianismo classico romantico, funky, hip-hop, elettronica pura e improvvisazione. Musica del terzo millennio insomma, con un approccio pianistico che potremmo dire “di secondo livello”: lo strumento acustico è ormai un ricordo filtrato dalla sintesi virtualmente analogica del Nordpiano, ulteriormente “passata” attraverso effetti e delay. Alla mutazione del piano acustico si associa quindi un rhodes saturato ed entrambi vengono veicolati in una loop machine, utilizzata sia per lanciare materiali preesistenti che per intervenire in tempo reale. Due ottave di mini basso synth “cattivo” e i grooves energici di Dom Burkhalter, anch’essi filtrati e calibrati per avere il giusto sound, completano il set, scarno ma meravigliosamente essenziale.

Nel minestrone di Südtirol Jazz Festival non mancano dunque momenti in grado di appagare gli appassionati che vedono nel jazz la linfa vitale della musica che guarda in avanti e si innerva nel mondo reale, “glocalizzato”, con coloro che invece al contrario considerano la musica afroamericana una pallosa ed intellettuale “palestra” per bulimici di note.

Con buona pace di coloro che, ancora oggi, musicisti ed ascoltatori, se non sentono lo swing si trovano  disorientati e cercano, in qualche modo, di “cambiare canale” con il telecomando del loro impianto hi-fi da 5 mila euro.

Sveglia!

 

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