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July 5, 2012

Vi sto scrivendo da Singapore #03: Singapore Flyer

Cristina Vezzaro

Come per il London Eye, è impossibile non essere attirati dal Singapore Flyer, addirittura più alto e imponente del cugino londinese. Raggiungerlo a piedi non è semplice, lo si scorge ma poi non sempre svetta tra i grattacieli, e in questa giungla verticale di cemento e vegetazione non ci si riesce a orientare facilmente. I pochi passanti a cui chiediamo informazioni ci danno indicazioni tutte diverse (e nessuna giusta) e stiamo quasi per desistere quando finalmente lo scorgiamo.

È così che una di quelle cose che si fanno “solo perché ci sono i bambini” poi naturalmente entusiasma tutti, mentre ci si alza piano al cielo e si scorgono le architetture d’avanguardia di Marina Bay, la parte coloniale e la city con i suoi grattacieli, e la distesa sterminata di palazzine più basse che compongono la città.

Sulla terrazza davanti al fiume, una coppia di sposi posa con un mazzo di palloncini rossi e bianchi (sigh) davanti a fotografi scatenati. Il rosso, è vero, è segno di buona fortuna per gli sposi cinesi, questo lo ricordo da quando, tanti anni fa a Hong Kong, ai piedi di una sposa vestita tutta di bianco avevo visto cangianti scarpe rosse.

Non lontano da lì passiamo davanti a una vetrina-acquario dove una miriade di pesciolini è attaccata… a piedi umani, sorta di pedicure all’avanguardia per la perfetta pulizia dei piedi. Ne avevo sentito parlare; vederlo, devo dire, fa un certo effetto. I signori in questione, una coppia – occidentale lui orientale lei – sembrano rilassarsi tranquillamente con la lettura di un giornale mentre i pesciolini portano a termine il lavoro, ignari del loro compito. Quando si apre la porta vediamo una panca che si snoda a serpente su questa vasca trasparente e un’altra coppia più in là pronta per lo stesso trattamento (si deve essere in due per farsi coraggio?). Fish Spa, così si chiama.

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L’Hawker Food Center locale non delude nemmeno questa sera; in realtà, colta dall’entusiasmo per l’insegna di terza bancarella preferita di Singapore, mi lancio in un piatto di Fried Oyster, sorta di frittata di ostriche con ogni condimento possibile immaginabile (tutte cosine secche che vengono messe nella frittata prima che si rapprenda) prima di ricordarmi che a me le ostriche non piacciono poi tanto; prima di rinunciarvi del tutto provo ancora a coprirle con una salsina piccante, ma non c’è niente da fare, non riesco a mangiarle. Mi rifaccio allora la bocca con diversi dim sum, dumplings e quant’altro. I bicchieri che accompagnano le bibite sono vecchie tazze di latta tutte con lo stesso disegno bianco a fiori. E i clienti si susseguono rapidi tra satay, noodles e chicken soups.

Noi optiamo ancora per un’ice ball, sorta di granita lavorata a palla per metà, quindi riempita di amarene, lychees e red beans, richiusa con ghiaccio e cosparsa di sciroppi – menta, lampone, latte. E la mangiamo con nonchalance tutta cinese.

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