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June 15, 2012

Teatro e lavoro. Il convegno

Massimiliano Tonini

Moderato dalla giornalista e critica teatrale Claudia Gelmi, il convegno Teatro e lavoro si è svolto mercoledì 13 giugno e ha visto alternarsi, sul palco dello Spazio14 di Trento, le voci di rappresentanti del mondo politico, sindacale e teatrale, o culturale tout court.

I lavori sono stati aperti dall’intervento di Bruno Dorigatti, presidente del Consiglio provinciale di Trento, che non ha contribuito con un semplice saluto istituzionale, ma che ha ripercorso la propria storia personale di lotte sindacali e di rapporti con i cambiamenti progressivi nel mondo del lavoro. Due riflessioni proposte dal presidente risultano particolarmente stringenti e in sintonia con gli argomenti affrontati negli spettacoli teatrali che hanno preceduto il convegno, Amare foglie e La zona nera: il concetto di flessibilità, legato alla precarietà, come estremo afflato per l’auto-sostentamento del mondo capitalistico e, in parallelo, la mercificazione che fa da substrato allo scambio tra salario e salute.

Per capire il secondo aspetto della questione l’esempio portato è quello della Sloi, fabbrica produttrice di piombo, che nel corso della propria attività retribuiva i lavoratori con lo stipendio più alto nel settore. La scoperta a posteriori delle gravi omertà istituzionali relative a dati sanitari preoccupanti ha portato ad una decisiva battaglia per un posto di lavoro più sano che però, nella migliore delle prospettive, risulta a tutt’oggi irrisolta (tanto per fare un esempio, Apple/Foxconn/Cina vi dicono qualcosa? fonte NYT).

L’intervento di Paolo Burli, segretario generale della CGIL del Trentino, si focalizza sul concetto di recupero della memoria applicato al lavoro, e di come l’espressione artistica possa contribuire alla riflessione anche quotidiana del lavoro politico, sociale o sindacale, in termini di recupero storico di eventi del passato con forti ripercussioni anche nel presente. Espressione emblematica di questa dicotomia può essere la storia della Montecatini di Mori ( La zona nera ) rapportata a quella sarda dell’Alcoa, in pieno e drammatico svolgimento. Ritorna, anche in questo caso, la dinamica lavoro/salute.

Segue il saluto del nuovo direttore del Centro Servizi Culturali S. Chiara, Francesco Nardelli, che annuncia il progetto, molto prossimo a realizzarsi, di una coproduzione S. Chiara – Teatro Stabile di Bolzano proprio sui temi del lavoro.

La tavola rotonda vera e propria, volta ad approfondire le dinamiche intercorrenti tra l’espressione teatrale e il mondo del lavoro, si apre con l’intervento di Marco Bernardi, direttore del Teatro Stabile di Bolzano, che ormai da anni lavora su un progetto legato alla memoria del territorio, che personalmente promuove e produce con il nome di “drammaturgia del territorio”. In questo contesto particolare sono stati realizzati tre spettacoli, prodotti dallo Stabile di Bolzano, legati alla memoria del lavoro. Un teatro politico, etico e sociale, che riflette sui passaggi tra lavoro, perdita del lavoro e ricerca di un nuovo lavoro.

I tre spettacoli, che hanno tutti come protagonista Andrea Castelli, altro relatore presente al convegno, sono dedicati all’emigrazione italiana in Brasile, all’immigrazione a Sinigo, una frazione di Merano, per lavorare alla Montecatini e al tentativo di italianizzazione mussoliniano dell’Alto Adige con l’apertura delle acciaierie di Bolzano e la conseguente nascita della zona industriale.

Lo stesso Andrea Castelli illustra, relativamente a questi spettacoli teatrali di cui è protagonista, quali siano state le motivazioni per la scelta dei temi e dei ruoli da interpretare, e le difficoltà di trovare una modalità espressiva tendente il più possibile alla partecipazione, intesa nel senso della nota canzone di Giorgio Gaber.

Interpretazione attorale dunque che faccia da tramite tra un’esperienza di lavoro vissuta sulla pelle e l’aspettativa di un pubblico che ne deve empaticamente cogliere gli aspetti che la trasfigurazione artistica vuole sottolineare.

Racconta Castelli che il titolo del lavoro sull’emigrazione in Brasile, Da qui a là ci vuole 30 giorni, è la citazione ricavata da una lettera che alcuni emigranti trentini, partiti dal porto di Genova per il Brasile nel 1874, scrissero ai familiari rimasti a casa.

Sono storie di terra e di lavoro quelle interpretate da Andrea Castelli, storie, in ultima analisi, di dolore, come quello che l’attore racconta di avere provato a Cavalese, recitando un testo ispirato alla tragedia del Cermis, davanti ai familiari delle vittime.

Il convegno Teatro e lavoro si conclude con l’intervento di Pippo Delbono, autore, attore e regista di fama internazionale, reduce da un seminario intensivo a Rovereto su corpo e voce.

Il contributo di Pippo Delbono ai lavori della tavola rotonda si configura più come una performance che come una relazione. Vediamo un corpo che si contorce plasticamente sulla sedia dei relatori, una voce che esprime bisogni primari, mangiare, bere, un uomo che racconta la propria storia, il proprio lavoro. Ecco quindi che il tema del lavoro si trasfigura in un racconto personale, il lavoro intimo ed esistenziale di un artista che cerca i propri attori senza filtri costituzionali e predeterminati, andando a scoprire qualità teatrali espressivamente rilevanti in emarginati che vivono sulla strada, in sordomuti reclusi in ospedali psichiatrici, in persone affette dalla sindrome di Down.

Il discorso sul lavoro di Pippo Delbono assume la forma di un racconto della propria storia lavorativa e creativa, dei gustosi aneddoti dell’incontro con Arafat e Lou Reed, delle difficoltà dello spettacolo La menzogna, soprattutto per le resistenze politico-istituzionali. Racconta Delbono di non riuscire a provare dolore per le vittime dell’incendio alla Thyssen Krupp, ma solo pietà. Naturalmente si tratta di una provocazione, della constatazione paradossale che l’accumulo di morti sul lavoro in uno spazio-tempo determinato renda certe morti più famose o mediaticamente sfruttabili di altre.

Grazie allo scatto intimista ed esistenziale di Pippo Delbono il convegno su Teatro e lavoro si avvia verso un’inedita e un po’ provocatoria conclusione: anche il teatro è lavoro.

Sipario.

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