Contemporary Culture in the Alps
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Milano da bere e da scoprire #02. Hidden Kitchen

06.06.2012
Cristina Vezzaro
Milano da bere e da scoprire #02. Hidden Kitchen

L’indirizzo è sui Navigli, che in questo inizio di sabato sera sono già abbondantemente frequentati. Pochi numeri da percorrere a piedi ed ecco le iniziali sul campanello di un portone anonimo. Citofono . “In fondo al cortile suona di nuovo”. Mi addentro nel cortile e quando arrivo al cancello risuono. “Ora vieni ancora in fondo, dopo il giardino sulla sinistra.” Seguo le indicazioni e arrivo in fondo al fondo di questo cortile interno, dove dietro una grata vengo accolta dal sorriso della padrona di casa. Attraversiamo il giardinetto e finalmente entriamo.

Più “hidden” di così…

Sì perché stasera sono a cena in una cosiddetta “hidden kitchen”, fenomeno che ha oramai raggiunto l’Italia con il suo nome tutto americano. La traduzione esatta è “cucina nascosta” e significa appunto questo. Cenare in una cucina che non sia quella di un ristorante. Nascosta e privata come le cucine che in tutto il mondo riuniscono abitualmente i membri di una famiglia o di una comunità o persone del tutto estranee che attraverso il cibo magari fanno conoscenza.

E questo è il secondo punto: quando si va a cena in una hidden kitchen non necessariamente si conoscono i padroni di casa né gli altri commensali. Come se ci si sedesse al tavolo comunitario di Le Pain Quotidien, per intenderci. Solo che si arriva tutti insieme e si va via tutti insieme. E si mangia tutti il menu preparato (e anticipatamente comunicato) dai padroni di casa.

È così che, in una serata milanese, mi ritrovo a cena a un tavolo con altre 7 persone che non conosco. Per i primi due minuti, perché non appena i padroni di casa iniziano a versare il Prosecco nei bicchieri e, dopo brevi presentazioni, ci accomodiamo tutti attorno al tavolo basso del salone su cui sono stati allestiti antipasti iniziali, e con l’abile aiuto dei padroni di casa rapidamente iniziamo ad annusarci (come i cani) e conoscerci. Questo ci permetterà di scegliere vicino a chi sederci a tavola.

La tavola in realtà è delle dimensioni giuste e permette a tutti noi di essere al tempo stesso appartati e/o coinvolti nella conversazione, a seconda di ciò che desideriamo fare. E mentre alle nostre spalle, nella splendida cucina stile americano, c’è chi si affaccenda per servirci cena (e non posso fare a meno di pensare che l’altra faccia di questa esperienza è, anche linguisticamente, una “open” kitchen), la conversazione rapidamente fluisce da un tema all’altro, interrotta solo dall’avvicendarsi dei piatti o da una pausa sigaretta per chi va a fumare in giardino o da una partita a calcetto per chi si alza a fare quattro passi in casa. Ed è proprio questo il fascino, mi ritrovo a pensare. Un po’ club esclusivo, un po’ bocciofila, un posto dove sentirsi coccolati e a proprio agio, un luogo che i commensali, soprattutto, disegneranno nel corso della serata.

Dall’amore per i cani, che nessuno ha portato ma tutti hanno, alla domanda che dà una piega più personale alla serata “quali sono le vostre fobie” a insider tips su Milano e sul Piemonte (stasera ci sono molti “piemontesi”), ai viaggi ai sogni ai progetti. Una serata in compagnia, insomma, di buon cibo e buona conversazione da cui nasceranno forse quelle conoscenze che talvolta si trasformano in amicizia, altre volte restano un bel ricordo.

Prima che ce ne andiamo i padroni di casa ci lasciano un piccolo regalo. E noi a loro lasciamo una donazione che difficilmente coprirà le spese che hanno sostenuto per la serata, mi ritrovo a pensare. Ma è vero che ogni attività richiede un investimento iniziale, e in questo caso mi sembra tra l’altro meno esoso che in molti altri casi.

Ripercorro all’incontrario i portoncini che, da questo luogo nascosto e ben protetto, mi riportano in mezzo alla folla della notte milanese che attorno ai Navigli sembra essersi data appuntamento e in cui anche io, questa sera, mi sono sentita un po’ a casa.

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