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June 5, 2012
La letteratura ladina contemporanea: no(n)stalgia
Ivan Senoner
Da anni mi occupo di “scrittura ladina”. Non tanto in termini teoretici, ma più che altro seguendo una pratica attiva. Proprio per questo non è nel mio interesse parlare di Storia della Letteratura Ladina e dei singoli rappresentanti. Questo, perché oggi è difficile stabilire se proprio di letteratura ladina si può parlare o se sarebbe più opportuno definire le opere pubblicate nella nostra lingua madre “tentativi di scrittura”. Comunque sia, senza voler diminuire il lavoro di chi attraverso gli anni si è dedicato all’espressione scritta, penso che riguardo ai suddetti argomenti abbiamo già diverse persone che se ne stanno occupando al momento con assiduità e impegno. In fondo, tra non molto dovrebbe uscire una capiente antologia della dr.ssa Rut Bernardi, che raccoglierà gli autori che con più frequenza (e voglio sperare merito), si sono dedicati all’attività sopracitata. Il mio sarà più che altro un tentativo di spulciare la situazione attuale e di conseguenza di sbirciare verso il futuro. Cercherò di smantellare quello che al momento sembra essere il nucleo ferreo di una letteratura, ahimé, destinata a poche migliaia di lettori.
Inanzitutto vorrei partire con una riflessione. Di cosa si parla, quali sono gli argomenti che vengono affrontati attualmente da chi all’interno dell’ambiente ladino si mette ad una tastiera per imprimere su una pagina di Word, nero su bianco, i propri pensieri?
Ho notato in questo senso che la tendenza è ancora molto radicata a quel tenue raccontarsi in tono nostalgico, anziché proiettarsi verso una letteratura che abbracci la scrittura creativa. Sembra che chi scrive in ladino, sia ancorato a tre punti cardini, che secondo me stanno purtroppo limitando il potenziale racchiuso in tanti aspiranti scrittori delle valli ladine.
Punto primo. Quando la forma spodesta la sostanza.
Spesso ci si imbatte in persone che mi manifestano anche un sporadico interesse verso la scrittura, ma si sentono paradossalmente limitati dallo strumento in sé: la lingua. Viene accentuato il fatto che la lingua ladina sia una lungua difficile da usare, poiché martellata da regole grammaticali e un’ortografia troppo astruse. Altri si asserragliano dietro l’argomentazione che mancano i sostantivi idonei per esprimere il mondo moderno. Altri ancora si sentono in una posizione di stallo, perché hanno l’impressione che venga data più importanza alla forma, alla struttura, che al messaggio di per sé, relegando la lingua ladina a uno status di lingua per pochi eletti.
Punto secondo. Quando il passato domina sul presente.
Una volta lessi un aforisma riguardo alla storia del cinema italiano. Si affermava che gli italiani fossero specializzati a girare film in cui raccontano sé stessi. “E’ vero”, mi son detto. Da Pasolini a Fellini, da Fantozzi ai cinepanettoni, l’italiano è sempre stato molto abile e apprezzato dalla critica, quando si trattava con autoironia e un pizzico di cinismo di esporre la propria realtà sociale. E il ladino? Chi scrive in ladino è spesso ben lungi dallo staccarsi dal passato. Come un Ulisse incatenato all’albero della propria nave per non lasciarsi trascinare dalle sirene della contemporaneità, chi scrive in ladino sceglie spesso gli argomenti più conformi. Si va dai versetti per matrimoni o anniversari varii, alle poesie naif-naturalistiche, in cui viene con pathos celebrata una foglia cadente o un ruscelletto cristallino. Altro punto di forza dello scrittore ladino, si fa per dire, è la rappresentazione ossessiva del passato. Gli scrittori delle vallate ladine hanno spesso difficoltà a osare. Nei loro testi si riscontrano non di rado (e vorrei evidenziare che intendo i cosidetti testi “liberi”, non scientifici) l’attacamento morboso al passato. L’attenzione per il passato e per la cultura viene così infangato da monotoni tentativi di riesumare una realtà che non dovrebbe essere l’unica radice per far fiorire un testo letterario. Ho spesso l’impressione che nella letteratura ladina lo scrittore si autonomini templare del “tempo che fu”. Naturalmente non gli si può nemmeno fare una colpa. Da quando eravamo in fasce, tutti noi siamo sempre stati abituati a sorbirci leggende o racconti popolari, insomma: le piacevoli, nostalgiche storie passate di bocca in bocca attraverso i nostri antenati. Non voglio assolutamente contestare il merito che hanno avuto pilastri come un Karl Felix Wollf, che ha dato un sussidio fondamentale al mantenimento della cultura popolare. Quello che mi auspicherei sarebbe invitare tutti quelli che scrivono in ladino a distanziarsi di tanto in tanto dal binomio “letteratura ladina = clessidra del tempo”. Ci sono tanti argomenti che oggi più che mai potrebbero invogliare a scrivere, anche a livello filosofico e sociocritico. In questo senso, la rivista “Brunsin”, più recentemente le riviste “Tras” o il “Puhin” hanno già cercato di scuotere la popolazione. Cercare di spiegare che scrivere significa inanzitutto esprimere con sincerità i sentimenti che balenano nell’animo di chi scrive. Invece la tendenza è quella di non sporgersi oltre la cascata, di andare sul sicuro rintanandosi dietro il cliché prefabbricato. E sappiamo tutti che l’equazione nostalgia-prestampato genera spesso il risultato di kitch.
Dopo aver parlato di quello che la letteratura ladina contemporanea, secondo la mia opinione non dovrebbe limitarsi a essere, vorrei esporre quella che ritengo debba essere una delle tante vie che si potrebbe percorrere.
Punto terzo. Quando l’emozione non è un optional.
Parto da una citazione di chi ritengo essere uno dei maestri della letteratura contemporanea internazionale, seppur venga spesso ridotto ingiustamente a scrittore triviale. Stephen King in un’intervista aveva dichiarato:
“A me interessa aggredire le emozioni dei lettori, scipparle. Non credo che i libri debbano essere una questione intellettuale. Il mio lavoro è quello di farvi bruciare la cena mentre leggete i miei libri. Se poi spegnete la luce e avete paura che ci sia qualcosa sotto il letto, bene”.
Riprendo da questa frase fulminante del fortunato venditore di bestsellers. Scrivere, anche in ladino, non deve essere una questione intellettuale, come era forse tatuato nella mente del popolo ladino sessanta-settant’anni fa. Scrivere è inanzittutto un’esigenza. Chi scrive lo fa perché non potrebbe altrimenti. Per dirlo con le parole di Marco Forni: “Poniti la domanda. Potresti morire per quello che hai scritto o non hai scritto. Se la risposta è si, è ora di mettersi al lavoro”. Quello che è prassi nell’universo degli aspiranti scrittori contemporanei in ciascuna altra lingua, penso ai forum multimediali su internet, dove una miriade di persone sperimentano e pubblicano i loro pensieri, rappresenta ancora una situazione quasi primordiale nelle valli ladine. La gente ha paura di scrivere, specialmente quando deve abbandonare il binario del già sperimentato, del già approvato dal comun pensiero. Naturalmente a risentire di quest’attività letteraria con il freno a mano tirato è proprio la belletristica.
Purtroppo sono pochi i scrittori ladini a spingersi oltre racconti brevi, poesie, riflessioni o saggi. Chi chiede cosa potrebbe leggere nel senso di dilettevole, viene spesso relegato ai pochi romanzi pubblicati negli ultimi anni da autori che si contano su una mano, massimo due. Se vogliamo ravvivare la letteratura contemporanea, bisogna inanzittutto catturare l’interesse da parte dei lettori. E quando dico lettori, intendo tra le righe i lettori giovani, che saranno gli eredi naturali della nostra cultura. Io stesso da anni ho almeno cercato di dare una spinta in questo senso. Nella mia passione verso l’arte dello scrivere, ho cercato di scrivere romanzi caratterizzati da un linguaggio giovanile, che un lettore potrebbe anche leggere in riva al mare per il semplice gusto del divertimento. Si, perché letteratura è anche (o soprattutto) questo!
A questo punto mi soffermo su un ultimo punto, non per questo meno importante, che racchiude ciò che ho appena detto sull’esigenza di una letteratura ladina più moderna e più ricca in senso quantitativo e qualitativo.
Scrivere in una lingua parlata e compresa da un numero ridotto di persone, non deve far cadere nella trappola delle “perpetue pacche sulle spalle”. Mi spiego meglio. Ho notato spesso un atteggiamento poco critico e sincero quando si tratta di valutare la validità di un’opera. Certamente, qualcuno dirà a proposito: “E’ mai possibile valutare ciò che comunque appartiene al mondo dell’arte e dunque implica un criterio di giudizio meramente soggettivo?” La mia risposta è senz’ombra di dubbio: si!
Penso esistano più criteri oggettivo, se consideriamo la lingua come lo strumento del nostro pensiero e l’attività di scrittore un “mestiere” che si basa inanzitutto su regole imprescindibili (la puinteggiatura che crea il ritmo), sulla meticolosità della revisione dei testi (l’importanza del cosiddetto filo rosso) e sulla disciplina. Troppo spesso in passato si è definito letteratura ladina ciò che in fin dei conti erano passioni avare di qualità. Con il massimo rispetto verso chi ha il coraggio di scrivere, di sfidare l’opinione della gente, mettendo nero su bianco i propri pensieri, penso che ci si debba avvicinare con l’umiltà e il rispetto di una volpe diffidente dinanzi al termine “letteratura”. Negli anni 80-90, durante la prosperità economica nel nostro paese, è stato spesso pubblicato e indirettamente considerato letteratura, ciò che, detto in parole risolute, sarebbe stato cestinato da gran parte delle case editrici serie. Il mio appello è quello di far sì che il ladino scritto non si nasconda dietro lo status del privilegiato. Anzi, in un mondo globalizzato, chi scrive in ladino non può più permettersi di non cercare di raggiungere un livello apprezzabile. Ciò significa lavorare costantemente sul piano della creatività, ma anche della professionalità. Naturalmente vivrei in un mondo utopico se affermassi che l’aspirazione di chi scrive in ladino debba essere quella di diventare il prossimo Ken Follett o Jostein Gaarder. Cerco solo di dire che prima di scombussolarsi l’encefalo nel cercare di imporre le proprie opere in altre nazione, magari anche traducendole, bisognerebbe farsi un bell’esame di coscienza. In un mondo in cui “scrivere” è diventato sinonimo di un’infinità di possibilità, le opere ladine hanno un effettivo potenziale?
Proprio per questo vorrei concludere invitando chi scrive all’alba del secondo millennio a non barricarsi dentro il complesso di quella che viene spesso definita erroneamente “lingua minoritaria”.
Atteggiamento necessario, affinchè si possa evolvere una letteratura ladina con la “L” maiuscola. Ritengo quindi importante più che mai, spostarsi dall’ombra della nostalgia del passato, del conservatorismo e di osare a percorrere una via nuova: romanzi moderni, che parlino di ciò che tocca veramente la gente. Temi attuali, argomenti sinceri e pervasi dalla rugiada della novità. Sì, perché quando apprezziamo un libro, è proprio per il fatto che riusciamo a scorgere in esso noi stessi, o come direbbe l’autore Zafon:
“I libri sono specchi in cui troviamo solo cio’ che abbiamo dentro noi…
…la lettura coinvolge mente e cuore…due merci sempre piu’ rare”.
Maggiori sviluppi di questa riflessione, si potranno scoprire domani mercoledì 6 giugno, a Museion Passage, quando durante l’Aperitif Ladin, Ivan Senoner sarà ospite insieme alla poetessa Roberta Dapunt.
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