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May 31, 2012

Questa è la mia vita e da essa ti sto scrivendo: incontro con Roberta Dapunt

Reinhard Christanell

Durante il prossimo Aperitif Ladin (mercoledì 6 giugno, a Museion Passage), l’aperitivo dove i protagonisti del mondo ladino si raccontano e si fanno raccontare, sarà ospite graditissima la poetessa badiota, Roberta Dapunt. Ha recentemente pubblicato la sua nuova raccolta di poesie, e quella di martedì sarà certamente un’occasione per ascoltare non solo i suoi versi, ma anche la sua personale “testimonianza” di ladina, di artista, di donna. 

In occasione dell’aperitivo ladino, riproponiamo il bel ritratto fatto a Roberta, da Reinhard Christanell, per un numero di qualche mese fa di Franzmagazine on paper. Proprio perchè l’articolo risale a qualche mese fa, la raccolta di poesie di cui sopra, Nauz, era ancora in lavorazione, mentre ora, è finalmente nelle librerie. Perdonate questo scarto temporale, ma valeva la pena non toccare la completezza e lo stile del testo.

Ciaminades, nel cuore dell’Alta Badia (o Regno dei Fanes, se si preferisce), è la heimat di Roberta Dapunt. Heimat geografico-storica, si capisce, e linguistica. Ma, soprattutto, patria letteraria. Stati d’animo che si avvicendano come le stagioni colorate di quassù, sogni spesso vertiginosi come le rocce immacolate, pensieri, sottili e forti come fili d’erba, nostalgie che scolorano melanconiche al tramonto come prati e boschi, sentimenti toccanti come l’aria penetrante che scende dal Passo: un variegato insieme che entra ed esce liberamente dalle finestre di casa come dalle pagine dei suoi libri. “Questa è la mia vita e da essa ti sto scrivendo”, verrebbe da dire con parole sue.

All’arrivo, incontro il marito di Roberta, lo scultore Lois Anvidalfarei. È una mite e luminosa giornata autunnale, non si può fare a meno di rivolgere lo sguardo al paesaggio che pare dipinto su una sfera di cristallo. Gli spazi tutt’attorno sono contrassegnati dai giganti buoni di Lois, ombrose reminiscenze scolpite nell’eternità del tempo. “Qui sono nato e qui vivo”, sorride soddisfatto. E, interpretando una mia fugace impressione, soggiunge: “Fin da bambino sapevo che il mondo è rotondo, basta alzare gli occhi per capirlo.” In effetti, a Ciaminades il mondo appare perfettamente rotondo, con le pareti rocciose, i prati scoscesi e ancora verdissimi, i boschi di larici e abeti a fungere da pareti tra cielo e terra.

Roberta Dapunt scrive versi che nulla hanno da invidiare alla bellezza dei luoghi che la circondano. È persona cordiale e accogliente ma nello stesso tempo raccolta in una dolce e garbata riservatezza. Mi parla subito della sua mucca personale, che ho intravisto sul prato sotto casa. Delle sue galline. Dell’erba e del fieno. Dei pascoli del Fanes. Del lavoro quotidiano nella stalla. Della madre di Lois. Dei lunghi inverni. Delle gioie e dei tormenti della vita “rurale”. Dell’“Onnipresente sconosciuto”. Il suo essere contadina, la sua appassionata dedizione al lavoro manuale (“mani aperte, mie mani vuote”) ha conferito una dimensione, una luminosità quasi sacrale alla sua vita e alla sua opera poetica. La cui modulazione, il cui ritmo seguono perfettamente il ciclo naturale. “È cammino casto il ritorno dal Fanes, / zoccolo che pesta lento ogni fine di estate. / E così siamo soli nell’ampio paesaggio, / ci facciamo villani dai riservati silenzi, / accodati alle mucche per rispetto / verso il loro sentiero saputo.” 

Torniamo al mondo rotondo. “Ciaminades è un microcosmo, per me rappresenta il mondo intero. Qui avviene tutto, nascita e morte, malattia e lavoro nei campi, scrittura e silenzio.” In effetti, a Ciaminades il silenzio è di casa non meno della scrittura. Un silenzio voluminoso, corporeo, a tratti rotto – o plasmato (come le figure in gesso di Lois, i versi di Roberta) – da una voce, da una mano che attraversa lo spazio e scompare. Sono i suoni, le immagini, le storie, i personaggi che Roberta Dapunt cerca di “trascrivere”, sistemare in modo acconcio sulla carta nelle lunghe e solitarie giornate invernali, quando un grande manto bianco nasconde ogni cosa e costringe l’immaginazione a ricreare il paesaggio, la vita distante. “Questa è la vita che vivo e vedo, la vita che voglio descrivere nei miei versi. Ciò che accade al di fuori di questo universo mi raggiunge sempre in ritardo, ne sento parlare, più che altro sfiora la mia esistenza senza toccarla veramente.” Recita un suo verso esemplare: “Tutto è qui, qui è l’avvenire, / qui è il tempo che passa e la morte che viene…” E ancora: “Tutto è qui nella riservatezza rurale che ripeto / mattina e sera… “ Che altro dire?

La bella casa, maso secolare pazientemente ristrutturato da Roberta e Lois, è una riuscita combinazione di cultura contadina e arte. Non vi è sovrabbondanza di oggetti, lo spazio “libero” regna comunque sovrano. Essenziale. Semplice. “I miei versi vogliono essere semplici, toccare la profonda semplicità dei fatti, delle cose; amo la semplicità”, dice Roberta. Semplicità che, grazie alla sorprendente, a tratti sconvolgente forza e umiltà della sua lingua (“la lingua è tutto”, dice, e io mi permetterei di aggiungere: tutto è nella lingua), sulla pagina si trasforma in universalità. “Un lavoro lento, faticoso. Scrivo e riscrivo “ad alta voce”, recito una litania in divenire, riempio quaderno su quaderno, cerco la parola giusta, fino a raggiungere il risultato desiderato.” Nulla è lasciato al caso, nella poesia di Roberta Dapunt, ogni singolo verso segna la pagina e la mente del lettore. “Qui da ottobre a maggio è tutto bianco, un’enorme tovaglia stesa sul paesaggio muto.” Roberta lo osserva dalla finestra del suo studio, uno scrigno incantato (“tu mio tabernacolo, / custode della mia anima”) dove si cimenta nel faticoso e, nello stesso tempo, liberatorio corpo a corpo con il silenzio invadente. “Spesso siedo soltanto e guardo, non succede nulla.” Per giorni, settimane. “L’inverno è lunghissimo, a Ciaminades, siamo chiusi nella valle, già arrivare a Bolzano è un’impresa…” sorride. Eppure Roberta e Lois amano viaggiare. Russia e Polonia tra le loro mete preferite. Ma anche Vienna. Le città d’arte. E i libri? “Ho amato soprattutto i grandi russi, poetesse come Achmatova e Cvetaeva. Odio i libri voluminosi, prolissi.” Infatti, “La terra più del paradiso” contiene soltanto quaranta dei 130 testi scritti.

E i prossimi inverni? “Mi sto concentrando su due lavori: una raccolta di poesie in ladino dal titolo “Nauz” (mangiatoia, ma anche grugno, da Schnauze), dedicata ai contadini della mia terra, e una silloge intitolata “Le beatitudini della malattia”, che l’editore Einaudi pubblicherà tra qualche tempo. Un lavoro difficile e intenso, che l’ha portata ai confini della propria capacità di condivisione del dolore.

Il commiato, dopo un’ottima carbonara con speck e uova della casa, non poteva che avvenire nell’aia. Le impavide galline, sorvegliate dal maestoso gallo Joachim, raspano volenterose sul letamaio. Non posso fare a meno di rivolgere loro un’occhiata misericordiosa. “Dopo un paio d’anni”, mi spiega Roberta, la contadina Roberta, depongono meno uova”. Ergo: il loro tempo è arrivato. Ovvero, citando l’autrice Roberta Dapunt. “Aspettare è il dovere che finge indifferenza, / a vita tolta è dato un tempo commovente per raffreddarsi”. 

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There are 2 comments for this article.
  • Annalisa ZORZI · 

    ieri sera a Bolzano ho sentito R. Dapunt recitare le sue poesie da’ le beatitudini della malattia’ e ho sentito tutta la forza semplice e autentica della sua poesia. La sua poesia è come la sua faccia, senza artifici.

  • Christopher Wood · 

    Vorrei indirizzare una lettera a Roberta Dapunt e parlarle della mostra che ho appena allestita al Liceo d’Arte a Varese. La poesia Credo è protagonista della mostra e mi piace comunicare alla poetessa quanto sua poesia sia apprezzata.
    Se ci fosse possibilità per me di esprimermi direttamente a Roberta sarei molto contento.
    Sono artista e vivo nella provincia di Varese. La mostra riguarda i migranti e la ricerca del pane quotidiano e parla anche dei naufragi…