La mia Africa #06. Pranzo domenicale

La mia Africa #06. Pranzo domenicale

Vivian è un’insegnante. E’ originaria di Chingombe e appartiene alla tribù Lala, proprio come la maggior parte di chi vive qui. Dopo aver studiato per nove anni nella scuola dove ora insegna, ha avuto la fortuna di andare in città e concludere, con ulteriori tre anni, la sua formazione. Oggi la si trova ogni mattina in una delle aule semi distrutte della scuola, alle prese con una cinquantina di bambini delle prime classi. La lavagna è lunga come tutto il muro e lei scrive in punti diversi a seconda del gruppo a cui si rivolge in quel momento. Mentre a destra insegna a quelli di seconda a leggere alcune parole in inglese, quelli di terza eseguono gli esercizi scritti sulla sinistra. La parte centrale della lavagna è riservata ai più piccoli: ci sono scritte diverse parole in bemba, la lingua del posto; a turno uno di loro segna una parola con un righello e tutti gli altri, ammassati dietro di lui, la ripetono. Si studia così, in una scuola senza libri.

 Domenica sono stata a pranzo a casa di Vivian. Mi ha accolta sotto una tettoia di paglia, al centro del cortile mentre tutt’intorno alcuni ragazzi si davano da fare per prepararci da mangiare. Le ragazzine hanno preparato la shima, una specie di polenta bianca in assenza della quale nessuno zambiano si siederebbe a tavola. Paul intanto ha sgozzato una gallina vicino ad un cespuglio al limite del cortile. “La qualità della vita è decisamente cambiata da quando abbiamo comperato il mulino”, mi spiega intanto Vivian, e mi racconta di come il “consiglio delle donne” ha organizzato l’acquisto grazie ad un microcredito concesso da una NGO. Prima dell’arrivo del mulino il mais, che serve innanzitutto per la shima, si macinava con grossi pestelli; l’operazione richiedeva ore. “Non solo: si era costretti a non mandare i bambini a scuola perché dessero una mano. Il mulino è stato un buon investimento”.

 Ogni tanto il suo discorso viene interrotto dalle voci di alcuni uomini accucciati in un angolo del cortile. A Chingombe non ci sono bar o locali ma esistono i luoghi di ritrovo dove farsi un bicchiere tra amici. Questo è uno di quelli: per arrotondare Vivian produce e vende birra. Mi offre un bicchiere pieno di un liquido torbido che odora di lievito; il gusto non è male, ma di berne un bicchiere intero non se ne parla… La “traditional bier” è un fermentato di mais, lievito e zucchero, risultato di un procedimento che può durare una notte, per la birra a buon mercato, o una settimana per quella buona. Il punto, comunque, non è gustarsela ma sballarsi. Il sole cocente di queste ore aiuta parecchio.

 Il Women Council è composto dalle rappresentanti degli otto gruppi di donne sparsi nella valle di Chingombe. Si ritrovano più o meno regolarmente per passarsi qualche consiglio utile per la vita quotidiana o, se c’è in vista qualche finanziatore, per immaginare un progetto utile per tutte. Non lavorano sempre nel silenzio, all’occorrenza si fanno sentire eccome. E’ successo quando si è costruito il ponte sul Chingombe: anche quella volta il gruppo di volontari venuto da fuori ha assunto diverse persone del posto per portare avanti il lavoro. Erano tutti uomini e venivano pagati a fine giornata, ma con quei soldi in tasca non trovavano la via di casa. Le donne, rimaste sole tutto il giorno ad occuparsi di campi e bambini, vedevano arrivare i compagni a notte fonda, ubriachi e con le tasche vuote. Così hanno protestato con i volontari, che hanno deciso di pagare a fine mese e di assumere anche qualche signora. Le lamentele sono arrivate fino alle orecchie di Marcel, che durante la predica della domenica ha tirato quattro urli. “Ha detto che anche gli uomini sono responsabili dei figli che hanno avuto e che non è giusto che i soldi vengano spesi in una bevuta invece che per comperare da mangiare, da vestire e il necessario per la scuola”. Problema risolto? In parte: “Alcuni non cambieranno mai, ma molti adesso si comportato diversamente: quando ricevono il salario vanno dritti a casa ed escono a bere dopo aver discusso con la moglie”.

 E’ arrivato il pollo: è stato spennato e ora Vivian fa il lavoro di fino. Seduta su una sedia con una bacinella d’acqua in grembo, liscia la pelle con un coltello ben affilato, taglia via ali e cosce, poi lo apre pulendolo bene. Le dita sottili si muovono sicure, in una mano il pollo e nell’altra il coltello. Non si appoggia da nessuna parte. Penso che sarebbe tutto più facile se usasse un tagliere. Ma dalla tranquillità con cui esegue l’operazione forse ha ragione lei: non ce n’è bisogno.

 Per il pranzo ci spostiamo in casa. Una poltrona e un divano, un tavolino basso, alcuni scaffali di vimini occupati da stoviglie e zucchero sono l’arredamento della stanza in cui ci sediamo. Dietro una tenda si intuisce la camera da letto e alzando lo sguardo si vedono i pali di legno che sostengono la paglia del soffitto. L’ambiente è piacevolmente fresco. Clement e Paul, due ragazzi di una ventina d’anni, pranzano con noi. Una bacinella passa dall’uno all’altro mentre Clement, con una brocca, ci versa l’acqua sulle mani. Poi passa l’asciugamano e infine vengono scoperchiate le pentole sul tavolo. Ho un attimo di esitazione a prendere il pollo, che fino ad un paio di ore fa razzolava in cortile. Ma come faccio a spiegare che non me la sento di mangiarlo perché prima era vivo e poi l’hanno ucciso? Ipocrisia da supermercato. Prendo coraggio e ne metto un pezzo nel piatto accanto alla shima ed al sugo. Si mangia con le mani. Sarà per questo o forse perché ormai sono le due e mezza, ma il pranzo è decisamente gustoso.

 Non pensavo che qui girassero delle fotografie, invece Vivian ne tira fuori un pacchetto: lei da giovane, i suoi quattro figli (un numero decisamente sotto la media), alcuni workshop tenuti con le altre donne. In alcune compare Patricia, una cooperante belga con cui sono rimaste in contatto. Ma come si fa a rimanere in contatto abitando a Chingombe? Mica facile. L’unico collegamento internet, sempre che funzioni, si trova nella missione e l’utilizzo dipende dal fatto che ci sia un prete in quel momento e da chi è quel prete: Marcel, Zenon e Peter, tutti tre polacchi, hanno stili decisamente diversi. Se questa strada non funziona, bisogna chiedere aiuto a qualcuno che va in città. In questo modo si accorcia almeno il tempo che ci metterebbe una lettera a viaggiare dallo Zambia all’Europa, ma resta lungo il tempo per andare da Chingombe alla città più vicina. In ogni caso per lanciare un messaggio da Chingombe c’è bisogno di un intermediario.

 Sono le cinque quando mi decido ad andare. Vivian mi accompagna per un bel pezzo, sfoggiando uno dei tanti vestiti che si cuce da sola. Pur abitando in mezzo al nulla ci tiene ad essere alla moda.

 

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