Music

May 9, 2012

Museruole, women in experimental music, reviews

Franz

PRIMA SERATA

Di Emanuele Zottino

Donne e musica d’avanguardia. Questo il tema del festival Museruole, organizzato brillantemente da Valeria Merlini e sostenuto dal Comune di Bolzano. Dunque la cerchia ristretta della musica contemporanea, sfoltita ulteriormente e drasticamente dal filtro selettivo di dover pescare dentro il ristretto mondo delle compositrici. Nicchia nella nicchia, si potrebbe dire. Però, all’interno della neutra sala del piano di sotto del Museion, venerdì scorso abbiamo assistito ad un tutto esaurito, con gente di ogni tipo, sedie aggiunte all’ultimo, spettatori in piedi, altri rimasti fuori ad ascoltare quello che si captava dall’esterno. Insomma, alla faccia di chi non scommette sulla contemporaneità più ardita e inesplorata! Forse è azzeccata l’idea di un concerto a tema sulla musica di ricerca, o forse è la gente che ha di nuovo voglia di misurarsi con quello che ancora non conosce.

Alla prima delle due serate che hanno composto il microfestival abbiamo assistito a tre performance diversissime, per linguaggio, tecnica, sonorità. Il primo volto al centro dell’attenzione è quello della giovane inglese Helena Gough. La sala completamente al buio, solo la luce del suo laptop che illumina debolmente la sua espressione seria e concentrata. Un concerto per sole orecchie, per non farsi distrarre dagli stimoli visivi, ma anche semplicemente perchè, come annunciato dalla musicista, «non c’è molto da vedere, solo una compositrice e il suo computer». Il pezzo è composto per lo più da fasce sonore misteriose e apparentemente statiche, che in realtà nascondono sviluppi e profondità a vari livelli. Dato interessante: tutto il materiale di partenza, ossia la sorgente sonora sul quale il lavoro si basa, è tratto da suoni di violoncello. Il quale si percepisce esplicitamente solo ogni tanto, per poi riadombrarsi come un fanatsma che non vuole esser smascherato. Alla fine dei conti ci è sembrato un pezzo profondo, delicato e contemporaneamente inquieto, un pezzo che aggiunge qualcosa al già sentito, pur riconoscendo le sue fonti di ispirazione nella musica ipnotica degli anni Sessanta.

Nella seconda parte del concerto assistiamo di nuovo ad una performance solistica, con la tedesca Magda Mayas alle prese con un brano tra composizione e improvvisazione al pianoforte preparato. Un pianoforte, cioè, sulle cui corde sono stati applicati oggetti di varia natura e che spesso la Mayas faceva vibrare stando in piedi, con le mani e le braccia direttamente immerse nella cassa dello strumento. Ai primi minuti ci viene automatico associare i vari effetti con le sonorità di John Cage e del suo prepared piano. Poi il discorso cambia, si evolve, riesce a sorprendere e conivolgere. Magda Mayas sembra chiedere sforzi estremi al suo pianoforte, lo vuole spremere, aggredire, coccolare, lo vuole far gridare, cantare e sussurarre come mai prima quel piano aveva fatto. Come fosse una tecnica di teatro sperimentale per timidi. Un’esperienza molto fisica, quasi un rituale.

A chiudere la serata ci pensa un trio di musiciste, Felicity Mangan, WJM e JD Zazie (nome d’arte per la stessa Valeria Merlini), che insieme formano The secretaries. Un’idea simpatica e ironica, un finto trio di segretarie al lavoro, solo che invece di timbrare carte, rispondere al telefono e battere lettere, manipolano suoni elettronici, mandano campioni di versi di animali e altro ancora. Un insieme che crea un’atmosfera stuzzicante, dove si intrecciano stimoli diversi, piani sonori che si incastrano, che si infrangono, che viaggiano paralleli.

ZWEITER ABEND
Von Barbara Schindler

Auf dem Heimweg innehalten, auf der Brücke, sich zwischen den Wellen verlieren, schnalzende Plastikfahnen im Wind, der Mond auf seinem Weg durch die Wolken, von weitem die Autobahn, noch was trinken gehen? Keine Sternschnuppen, dafür ein riesiges Kreuz, nein, lieber nicht, lieber die Stille, die Konzentration vom Konzert behalten, so viel kann man in einem Ton hören, oder auch nicht. Die Wellen der Musik treiben weiter, in anderen Formen, mit anderen Frequenzen, sind herausgeschwappt aus dem temporären unterirdischen Ozean im Museion. Eine Komponistin, Éliane Radigue, ein bisschen wie Miss Marple, die Instrumente und Musiker detektivisch genau untersucht, herausfindet, was sich in ihnen versteckt, hinter der Fassade der Virtuosismen, Klänge erforscht, entdeckt und dann neu zusammenstellt, neu komponiert, das Ganze in diesem Fall in Wellenform anordnet und fertig? Klingt nach elektronischer Musik, Klänge herstellen, Samples analysieren, filtrieren, wieder zusammen bauen, ist aber rein akustisch, ohne Verstärkung, nur ein Birbyne, ein litauisches Blasinstrument, eine Bratsche und die beiden Interpretinnen Carol Robinson und Julia Eckhardt, erst die eine, dann die andere, dann nach einer kurzen Pause beide zusammen, jeweils beginnend aus dem Nichts, endend im Nichts und dazwischen ein ganzes Meer von Musik, eine Gehirnwäsche, Neuronenmassage, ohne New-Age-Beigeschmack und Räucherstäbchendampf. Geteilte Reaktionen, mitgerissen oder verständnislos, nichts dazwischen. Endlich mal wieder ein kompromissloser Abend.

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