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May 8, 2012

People I know. Sarah Greenwood: dall’Inghilterra a Bolzano, dai biscotti all’arte

Anna Quinz

C’è l’Inghilterra della famiglia reale e quella di James Bond. C’è l’Inghilterra di Sherlok Holmes e quella della City. Ma c’è anche un’Inghilterra diversa, che assomiglia un po’ all’Inghilterra di Billy Elliott, fatta di case scure e basse a schiera, di industrie fallite e di povertà. Da questa Inghilterra, di preciso da Lancashire, vicino Manchester, arriva Sarah Greenwood, che del grigiore che ci si immagina (erroneamente) provenire da lassù, proprio non ha nulla. Due occhi vispi e verdi, sono il suo biglietto da visita, e se non fosse per il forte accento che ricorda quello dei corsi di inglese in cassetta che facevamo da bambini, potrebbe sembrare arrivata dal sud, dal calore di terre baciate dal sole. Sarah, 38 anni, un marito bolzanino e due figli già poliglotti (Erin e Dante, parlano italiano tedesco e inglese, con assoluta naturalezza), vive ormai da anni a Bolzano, dove si occupa di marketing. Dopo tanti anni nel mondo aziendale, ora il suo campo d’azione è l’arte. Da pochissimo infatti è la nuova responsabile marketing di Museion, dove porterà la sua solarità e il suo humor. Tutto inglese, naturalmente.

Come è arrivata a Bolzano dal Lancashire?

La storia, è abbastanza buffa. Durante l’Erasmus in Germania, ho conosciuto mio marito, un altoatesino. Da quel momento, ho cercato in tutti i modi di venire a vivere in Italia. Durante un corso in Bocconi a Milano, ho imparato l’italiano e ho iniziato a lavorare lì, in un azienda farmaceutica. In quel periodo, ho conosciuto un ragazzo che lavorava alla Mila. Gli ho raccontato del mio desiderio di venire in Alto Adige. Dopo un po’ di tempo, mi ero dimenticata di lui, che però non si era dimenticato di me. Mi ha infatti contattata, perché sapeva che alla Loacker cercavano un responsabile marketing. Sono stata lì 9 anni. Poi, dopo 2 gravidanze, mi ha chiamato la Dr Schär per un colloquio. Lì, ho ritrovato ancora una volta lo stesso ragazzo, che ancora una volta si era ricordato di me.

Alto Adige, terra produttiva e ricca di imprese. Lei che questo ambiente lo conosce bene, cosa ne pensa del mondo aziendale altoatesino?

La gente qui è molto diligente. Gli altoatesini lavorano molto, non si tirano indietro davanti alla fatica, magari restano in azienda fino alla sera tardi, non perché “si deve”, ma piuttosto perché “si vuole”. C’è un clima sereno e tranquillo, le persone fanno perché hanno voglia e piacere di fare, e così, le cose le fanno bene. L’Alto Adige ha tutte le carte in regola per imporre le sue aziende a livello internazionale. Ma per quello che produce, non tanto per la strategia ormai troppo sfruttata, di “vendo la mia azienda perché viene dall’Alto Adige”. Questa terra è nota, ma non poi così nota, l’azienda va “venduta” perché lavora bene e in modo competitivo.

Che cosa porta con sé qui della sua terra, e cosa invece ha acquisito qui?

Manchester, era una delle zone “calde” della rivoluzione industriale, ma quando l’industria del cotone si è spostata altrove, l’economia di quell’area è crollata e la ricchezza si è spostata a sud. Quella è rimasta una zona povera, ma allegra. O si ride – pensiamo – o si piange, e allora, meglio ridere. Siamo un po’ “i terroni” del nord. Dunque, da lì ho preso l’allegria. Però in Inghilterra, non siamo proprio famosi per il buon cibo, e così dall’Italia ho preso l’amore per la cucina.

Prima due aziende alimentari, ora invece, un mondo completamente diverso, il museo. Come e perché questo passaggio, dal “cibo per il corpo” al “cibo per la mente”, l’arte?

Alla Loacker stavo bene, ma avevo bisogno di sentire un senso maggiore in ciò che facevo. Era bello sapere che l’azienda era cresciuta grazie a me o che le persone apprezzavano i biscotti che avevo contribuito a lanciare, ma volevo dare qualcosa in più. Alla Dr Schär, che produce cibi per celiaci, pensavo di dare un contributo maggiore alla società, ma in fondo, le persone per cui lavoravo, i celiaci, erano troppo lontani da me. Quando è arrivata la proposta da Museion, ho sentito che era l’occasione giusta per fare davvero qualcosa di importante per questa bella città, che mi ha adottata e accolta. Ho pensato che con la mia energia e le mie conoscenze di marketing, avrei potuto contribuire a ridare qualcosa, attraverso il suo museo, alle persone di Bolzano.

Dai biscotti alle opere d’arte. Un responsabile marketing, è incaricato, in un qualche modo, di vendere il prodotto aziendale. Ora il suo “prodotto” è l’arte. Le piace?

Si, mi piace. La mia terra, come detto è povera, economicamente e culturalmente, e lì non mi ero mai confrontata con l’arte. Ma crescendo e cambiando ho conosciuto cose nuove, tra queste l’arte. Che è però stata l’ultima che ho accettato, mi faceva un po’ paura, mi metteva in soggezione. Pensavo di non essere all’altezza. Ora invece, con l’arte mi sento a mio agio, mi piace andare in un museo ed essere confrontata con i pensieri che le opere stimolano. E poi, più di tutto, io amo le persone, e l’arte non è in fondo il modo, di altre persone, per esprimersi e comunicare – perché no – anche proprio con me?

Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 6 maggio 2012

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