La mia Africa #01: la valigia è pronta, si parte per Chingombe

Bene, il valigione è chiuso. La cerniera ha scricchiolato ma ora sembra che tenga. L’importante è che questi sacchetti che mettono gli oggetti sottovuoto funzionino davvero: se per caso si gonfiano la valigia potrebbe esplodere facendo volare ai quattro venti magliette, pantaloni e penne a sfera. Sì, perché quando si va in Africa non si resiste alla tentazione, ampliamente sostenuta da amici e parenti, di portare “qualcosa da lasciare lì, qualcosa di cui potrebbero avere bisogno, che magari lì non si trova”. In fondo anche i vestiti che infiliamo nei cassonetti della Caritas finiscono lì, ma in qualche mercato. Io li porterò a Chingombe, in Zambia, dove trascorrerò il prossimo mese.
E’ la mia prima volta in Africa, o meglio: nell’Africa nera. E’ la prima volta in assoluto che vado sotto l’equatore.
Come prima di ogni partenza sono divisa in due: l’entusiasmo dell’avventura da una parte (e per quel poco che so del posto sarà un’avventura davvero) e il “ma chi me lo fa fare, non potrei starmene tranquilla a casa come tutti” dall’altra.
Cosa mi aspetta? Ecco quello che so: Chingombe è un posto a 300 chilometri da Lusaka, la capitale, ma per percorrere quei 300 chilometri ci vorranno 10 ore di macchina. Non ci sono strade ma piste. Nel luogo in cui starò ci sono un ambulatorio senza medico né infermieri, un asilo e una scuola con relativi insegnanti. Tutt’intorno, sparsi in un raggio di alcuni chilometri, vivono diversi clan che fanno riferimento a queste strutture. Avrò una camera mia e dormirò sotto una zanzariera. Il sole tramonta velocemente alle sei di sera, le serate sono lunghe. E buie. Ma il cielo è pieno di stelle.
Quello che non so: cosa farò durante il giorno e cosa mangerò; se ci sono missionari o no; se l’inglese che parlano mi sarà comprensibile e se loro capiranno il mio; se sarà possibile vedere qualche animale; se la mia presenza sarà utile o finirò per fare la turista in un posto che di turisti non ne ha mai visti.
Non parto da sola. In realtà accompagno Luciano, ingegnere in pensione, bolzanino ma residente in Zambia per almeno 5 mesi l’anno. Ha vissuto in Africa per una ventina di anni costruendo strade: “Ogni tanto dovevo disegnare una curva, anche se non c’era nessun ostacolo da aggirare – racconta – Avrei potuto tracciare strade dritte come fusi, ma viaggiarci è noioso e pericoloso: le curve servono a tenere viva l’attenzione del guidatore”. Tornato a lavorare in Europa ma preso irrimediabilmente dal mal d’Africa, l’ha percorsa in lungo e in largo durante le ferie. Una volta, dall’alto del suo piccolo aeroplano ha notato un microscopico insediamento ed ha deciso di atterrare. Così ha fatto la conoscenza di Chingombe e della sua gente: “Un posto sperduto nel nulla. Arrivarci via terra è un’avventura, vedrai. Ma anche via aria: se vuoi atterrare devi sperare che qualcuno abbia tagliato l’erba sulla pista. Per questo di solito avvisavo qualche giorno prima, quando avevo intenzione di andarci”. Da quando è in pensione Luciano torna a Chingombe regolarmente e ci passa lunghi periodi. Ha costruito l’ambulatorio e la scuola, ha portato una turbina per la corrente elettrica e l’ha messa in funzione; il tutto con l’aiuto della gente del posto: “Imparano a fare i mattoni, a costruire i muri, a tirare i fili elettrici, ma la volta dopo non li trovo più: a quel punto vanno in città a cercare una lavoro”. E così ogni volta è un po’ come ricominciare daccapo.
Le medicine in caso di malaria le ho, il passaporto è a posto. Devo ancora completare il bagaglio a mano, che contiene l’indispensabile – nel malaugurato caso che il valigione non arrivi….
Mi hanno detto che a Chingombe hanno internet. Sperando che sia così e che funzioni, costo di mandare notizie nel corso delle prossime settimane.