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April 19, 2012

Un «Otello» che è quello che non è!

Jimmy Milanese

«Otello è la notte», affermava Victor Hugo. Solo in «Otello», tutto inizia e si conclude di notte. Tra due notti, quella veneziana e quella cipriota, si compie la tragedia di Otello e Desdemona. Il tragitto è alquanto inconsueto. L’evento pubblico iniziale – un matrimonio eclatante quanto burrascoso -, si restringe sempre più a dramma individuale, dove i personaggi perdono il controllo delle loro azioni, fino allo sterminio finale.

L’ «Otello» è un’opera dove la sensazione del tempo che scorre svanisce, diventa irreale, proprio perché si consumano drammi personali che prendono forma dall’immaginazione dei suoi protagonisti, più che dai fatti narrati. In «Otello» le vicende vengono raccontate, ma avvengono principalmente nella mente di Jago che costruisce una fitta trama di falsità per convincere Otello d’esser stato tradito dalla amata Desdemona. Sarà quest’ultimo a distruggere quanto di buono vi era nella sua vita, perché convinto dall’arte fabulatorio dell’amico Jago.

«Otello» spiega come l’uomo percepisca le cose fondamentalmente per come esse sono presentate; attraverso i suoi celebri monologhi restituisce valore assoluto alla parola, capace di creare, inventare, manipolare, destituire, perfino uccidere. Otello è riconoscibile per il suo amore assoluto verso Desdemona, per la maniacale ricerca della parola giusta al posto giusto e al momento giusto, mentre Jago piega le parole alle esigenze del suo piano malefico, quindi si esprime in modo repentino e incompleto. L’arte di Jago è quella di creare sillogismi perfettamente logici, partendo da assunti completamente falsi. Se Desdemona fosse veramente stata infedele a Otello, Jago risulterebbe l’eroe della situazione; invece, da quella piccola menzogna iniziale, come una macchia d’olio s’insinua nei personaggi il germe dell’odio e della vendetta.

L’«Otello» visto a Merano, e dal 19 aprile a Bolzano, nella traduzione, adattamento e regia di Nanni Garella con Massimo Dapporto nei panni di Otello, Maurizio Donadoni in quelli di Jago e Lucia Lavia nelle vesti di Desdemona, non convince per niente, anzi, a tratti infastidisce. L’intento era quello di smaltare con colori più moderni una vernice vecchia di quattro secoli. Paradossalmente, pure lo stesso Shakespeare, e proprio in «Otello», inserì una serie di elementi che andavano ben oltre al teatro elisabettiano del seicento inglese. Basta pensare all’uso del monologo, maltrattato nella regia di Garella.

Su un tappeto di quelli che si usano in palestra, è andato in scena uno Shakespeare che non avremmo voluto vedere. Il pur bravo Dapporto proprio non ha nulla a che fare con Otello. Manca la profondità di un amore infinito e la trasformazione di un’anima tradita e umiliata. Lucia Lavia conserva del padre il solo cognome, che è troppo poco per potere esprimere un giudizio positivo. Movimenti confusi, goffi e ingiustificati, oltre a quel sorrisetto perenne. L’attualizzazione dei dialoghi al gergo moderno non aggiunge nulla, anzi, toglie le differenti caratterizzazioni dei personaggi, che in «Otello» sono irrinunciabili.

Inutile andare oltre, anche «Otello» può essere quello che non è!

 

BOLZANO : Teatro Comunale (Sala Grande)
Turno A giovedì 19 aprile h. 20.30
Turno B venerdì 20 aprile h. 20.30
Turno C sabato 21 aprile h. 20.30
Turno D domenica 22 aprile h. 16.00

 

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