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April 17, 2012

People I Know: Romina Casagrande e il fantasy targato Alto Adige

Anna Quinz

Questa è la storia di una giovane meranese che ha sempre amato leggere, che si è laureata in lettere classiche e che ora insegna con passione in una scuola media della sua città. Questa è anche la storia di una scrittrice che ama la sua terra, tanto da usarla come spunto per le sue storie, cercando di “dare una vita profonda e più sentita a una trama, di lavorare con coerenza all’intreccio, sviluppandolo, arricchendolo, seguendo fino in fondo le vie intraprese dai personaggi”. Questa è la storia di Romina Casagrande, classe ’77, che ha scritto qualche anno fa il suo romanzo d’esordio Amailija, quando ha sentito di avere finalmente per le mani la “storia giusta”. Da lì, altri libri con altre storie, ma le sue non sono storie “normali”, sono storie di magia e di forze oscure, ambientate nelle leggende, nel folklore e nelle atmosfere dell’amato Alto Adige da cui l’autrice proviene. Sono storie che fanno parte di quel mondo letterario chiamato “fantasy”, un genere “di nicchia”, che ha il pregio indiscusso di far incontrare sullo stesso terreno di gioco, la finzione, la fantasia, l’incredibile con la più pura realtà.

Che effetto le ha fatto tenere in mano per la prima volta un libro pubblicato con il suo nome?

Una grande emozione. Purtroppo, però, l’editoria ha dei tempi suoi. Bisogna avere pazienza, saper aspettare e scegliere l’opportunità giusta. E non è per niente facile. La crisi si sente anche in questo settore e le mode spesso dettano legge, determinando il successo di un genere mentre altri cadono per un po’ nel dimenticatoio. Amailija ha impiegato più di un anno per diventare finalmente un libro e Dreamland Forest, nonostante possa essere letto anche come un romanzo autoconclusivo, fa parte di una trilogia già scritta e terminata un anno fa.

Lavorando alla creazione di un mondo tutto di fantasia, non si rischia di perdere il contatto con la realtà?

Come ogni mondo, anche quello del fantasy deve risultare credibile, quindi sottostare a leggi che abbiano una logica e che non appaiano artefatte al lettore. La verosimiglianza è importante, il permettere al lettore di addentrarsi in una nuova realtà, di venirne coinvolto o di immedesimarsi nei personaggi. I lettori di fantasy, in particolare, sono molto esigenti e attenti alle incongruenze. E se i “mattoni” cedono e si scopre una falla, si spezza la magia. Più si naviga nel fantastico, più occorre lavorare di fino per non “perdersi” e per legare insieme gli elementi di un mondo che deve restare credibile.

Dunque, come nascono le sue storie, ispirate ad atmosfere altoatesine? E come raccoglie e sceglie gli elementi locali da inserire nei libri?

L’Alto Adige è una terra magica. E non lo dico per piaggeria! Ogni castello, ogni angolo, fonte, montagna ha una storia da raccontare. Mi piace pensare di riprendere questa ricchezza e renderne partecipi più persone, spezzando anche la dicotomia locale/globale in favore di considerazioni più sfumate ed elastiche. Le vicende di Dreamland Forest, ad esempio, si muovono su scenari che riportano in causa la lotta tra paganesimo e cristianesimo e un Medioevo molto vicino a quello Mitteleuropeo o nordico. Insomma, è tutto qui… basta guardare! E lasciarsi affascinare.

Quanto e perché ama questa terra? Quali difetti invece riscontra nell’Alto Adige?

Nonostante noi altoatesini ci lamentiamo spesso della nostra terra, delle cose che non funzionano, non credo sia tanto facile lasciarla. Anche se può sembrare una frase banale, penso che siamo molto fortunati. Abbiamo una natura che in molti ci invidiano, paesaggi spettacolari e una ricchezza storica e culturale in cui la sovrapposizione e il dialogo tra lingue e realtà diverse creano un miscuglio originale e prezioso. La mia famiglia è per metà tedesca e per metà italiana. È un tratto di cui vado molto fiera. Merano, poi, ha delle grandi potenzialità. Alcuni miei amici che vengono da altre città si stupiscono dell’offerta di iniziative culturali e io stessa accolgo con entusiasmo ed eccitazione la nascita di sempre nuove realtà. Un difetto… forse una certa tendenza a guardare troppo al passato, evidenziandone solo gli aspetti più bui e tristi.

Lei ha una formazione classica, ed è un’insegnante. Consiglia ai suoi studenti un approccio umanistico e culturale alla vita?

Ai miei studenti consiglio di leggere, informarsi, di guardarsi intorno e di non dare nulla per scontato. Di dubitare, farsi domande. Di sviluppare una mente critica. E poi, cerco di combattere un pericoloso pregiudizio: i libri non sono noiosi! E leggere è tutt’altro che inutile. Può essere eccitante quanto vedere un film. Ed è un piacere più intimo e personale, da assaporare con la consapevolezza di vivere un’esperienza quasi magica: un intreccio di piani, sensibilità, mondi che trovano nuova collocazione attraverso il nostro pensiero. Ci sono milioni di libri, di autori. Basta soltanto cercare e trovare quello che ci appartiene di più.

Credo sia importante anche imparare a non avere fretta. Ho come l’impressione che si abbia sempre più bisogno di parlare, di fare rumore. Ma non si ha nulla da dire se prima non si impara ad ascoltare.

 Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige dell’8 aprile 2012

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