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April 10, 2012

Inedito fiorentino o di una presa di coscienza

El_Pinta

La vicenda del Festival dell’Inedito di Firenze mi pare si possa porre come un punto di riflessione importante per guardare all’attuale dibattito sulla cultura in Italia. Riassumo per sommi capi la questione a uso e consumo dei lettori che non avessero avuto modo di sentirne parlare: Alberto Acciari, docente di marketing, imprenditore e fondatore della Acciari Consulting, ha recentemente ideato un festival letterario dedicato agli scrittori esordienti o inediti. Nella pagina di presentazione del festival si legge che:

“Ogni anno, in Italia, vengono scritti, con passione, più di 100.000 nuovi manoscritti, sceneggiature, format, poesie, da persone spesso alla prima esperienza: un vero e proprio patrimonio di idee e di cultura letteraria italiana. Solo una minima parte di questa enorme produzione ha opportunità di accesso al mercato editoriale”.

“Il Festival dell’Inedito nasce per colmare questa mancanza, per far emergere chi ama scrivere, per dare spazio a chi ha nuove idee e punti di vista, offrendo la possibilità di incontrare lettori, esperti, editori e produttori, garantendo così ai partecipanti una visibilità mai avuta prima, insieme alla possibilità di accedere direttamente al mercato di riferimento”.

A prima vista potrebbe sembrare un’iniziativa lodevole, di alto valore culturale, tanto che nomi illustri (come quello dello scrittore Antonio Scurati) e partner prestigiosi (Radio Tre , Mondadori e il Comune di Firenze) avevano garantito al festival il loro patrocinio. Tutto bellissimo se non fosse che la partecipazione all’iniziativa era vincolata al pagamento da parte degli aspiranti scrittori di cifre considerevoli (130€ + IVA per la prima selezione, 400 € + IVA per il noleggio di uno spazio espositivo). La selezione dei partecipanti non veniva dunque affidata a un criterio curatoriale bensì a un criterio puramente economico (che se fossi marxista chiamerei di censo o di classe).

Questo “dettaglio” ha fatto storcere il naso a un gruppo di scrittori e intellettuali che si è mobilitato dando vita a una campagna di informazione e sensibilizzazione iniziata con una lettera aperta rivolta alle istituzioni fiorentine e agli organi di stampa. Nel giro di pochi giorni le adesioni all’appello si sono moltiplicate.

Da questa mobilitazione è nato un confronto radiofonico tra Alberto Acciari e alcuni promotori dell’appello (Vasta e Santoni) e un incontro tra questi ultimi e l’assessore alla cultura del Comune di Firenze, la dottoressa Cristina Giachi. Nel giro di pochi giorni e sotto la pressione di una campagna d’informazione piuttosto pressante, il Festival dell’Inedito ha cominciato a perdere molti appoggi importanti che hanno portato l’organizzatore a sospendere l’iter dell’iniziativa.

Quello che si è consumato nel giro di pochi giorni è un confronto tra due visioni nettamente opposte di intendere la cultura e che mette in luce alcuni aspetti chiave di un dibattito ampio e articolato. Al di là della retorica da governo tecnico con cui qualcuno ha tentato di dipingere la mobilitazione degli scrittori incasellandola dentro il frame che oppone “garantiti a non garantiti”, da questa mobilitazione è emersa una diffusa consapevolezza del ruolo e del valore del lavoro culturale. Perché pagare per fare il proprio lavoro? Questo si sono chiesti molti degli intellettuali che hanno animato il dibattito sulla vicenda in questi giorni. Parlando del festival, Roberto Ciccarelli, sul blog de La furia dei cervelli, afferma:

“A ben vedere, l’idea è solo in parte paragonabile alla fiera campionaria, o all’esposizione universale. In questo caso ciò che viene esposto è una merce potenziale, un puro desiderio, un valore determinato dall’aspirazione di essere “scrittore” o “autore” di una forma individuale apprezzata (cioè che ha un prezzo e un valore di scambio). Il “produttore” non è ancora un “professionista”, non espone un oggetto immediatamente riconoscibile e “originale”, ma la sua persona, il suo “talento”, una ricchezza astratta che deve ancora ricevere il battesimo dell’autorialità, l’unico modo per essere riconosciuti in una società di anonimi e di aspiranti-ad-un-certo-non-so-che.  (Roberto Ciccarelli, Vuoi fare lo scrittore? Paga!)”

La vicenda è esemplare nel mettere in evidenza come il lavoro culturale, in Italia, a dispetto delle retoriche che lo vorrebbero un volano della nostra economia (e che determinano un consumo del nostro patrimonio che ne vanifica il potenziale educativo e civile), venga ancora considerato come un’attività dal carattere elitario e, sostanzialmente, ludico. Infatti, il Festival dell’Inedito antepone al lavoro di selezione e scouting, che caratterizza il ruolo della filiera editoriale, un principio di carattere economico facendo leva, dice ancora Ciccarelli:

“su un sospetto micidiale:  quello di non avere il “talento” necessario per “sfondare”. Ed è su questo sospetto che interviene il dispositivo del marketing culturale, con la carica positiva e la sua disponibilità apparentemente infinita all’inclusione. Una carica già all’opera in maniera instancabile nelle scuole di giornalismo, nei dottorati di ricerca all’università, nei master professionalizzanti post-laurea. In generale, lì dove la domanda e l’offerta di lavoro intellettuale non sembrano incontrarsi mai e si cercano strumenti a pagamento per favorire la “libera offerta” “.

Emerge in questa vicenda, e nelle letture che ne vengono date, un problema dal peso notevole. In un Paese in cui non si è saputo gettare le basi per creare un mercato in grado di assorbire l’elevato numero di persone qualificate generato da un sistema educativo con imperfezioni estremamente vistose, dando così vita a una precarietà che da lavorativa è diventata esistenziale, è possibile ripensare al ruolo del lavoro culturale come attività professionale a tutti gli effetti a cui riconoscere un fondamentale stato di importanza civica e civile? Esperienze di auto-organizzazione capaci di connettere la dimensione comunitaria virtuale della Rete e quella attuale dell’impegno intellettuale come quella nata intorno al festival dell’inedito sembrano dirci che, forse, un percorso di questo genere è possibile o, almeno, tentabile.

Com’è triste la prudenza…

Immagine di Renzo Francabandera per www.progettobianciardi.it 

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