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April 4, 2012

A teatro, il pubblico bolzanino non è affatto contemporaneo

Anna Quinz

Essere (coraggiosi) o non essere (coraggiosi)? La citazione non è casuale, stiamo parlando di teatro, naturalmente. Nello specifico, parliamo di “Altri Percorsi/Nuovi Linguaggi”, la brillante – e coraggiosa, appunto – rassegna “off” proposta dallo Stabile di Bolzano, che sta portando in città, il meglio delle nuove frontiere del teatro di ricerca italiano (dettagli sulla rassegna, qui). L’offerta c’è dunque e pure di alta qualità, quello che manca, ahimè, è il pubblico (questo è il problema, per chiudere la citazione).
Parlo a lungo con Marco Bernardi, storico direttore dello Stabile, che questa rassegna l’ha fortemente voluta, pur sapendo che era una scommessa, e pure rischiosa. Sul fronte del botteghino e dei biglietti staccati, la scommessa è tristemente persa. “I numeri sono sconfortanti” racconta deluso Bernardi “solo nel 2005/06 abbiamo avuto risposte simili di pubblico, ed era – come quest’anno – una stagione “Altri percorsi” dedicata al teatro di ricerca. Quando facciamo proposte meno specializzate più generiche, con nomi (di opere, come “Otello” o di attori) noti, il pubblici risponde meglio”.  Questa considerazione dà da pensare, perché la stagione “La Grande prosa” invece, è in buona salute, in termini di spettatori (nonostante qualche flessione dovuta all’impatto della crisi) e questo farebbe pensare che l’interesse per il teatro c’è in città.

Dunque, dove sta l’inghippo? E dove sta il pubblico potenziale degli “Altri Percorsi”? secondo Bernardi, i bolzanini non sono votati alla contemporaneità, non si lasciano attrarre dalla sperimentazione, non hanno interesse per la ricerca. Dato allarmante, se vero, soprattutto per una città che invece si vuole fare baluardo europeo di modernità, che ha aperto da poco un museo di arte contemporanea, che ha festival e rassegne di arte, musica e quant’altro il panorama contemporaneo possa offrire.

Lancio una provocazione a Bernardi: che il problema non sia tanto il contenuto quanto più il contenitore? Se gli spettacoli “innovativi” fossero proposti in una ex fabbrica, all’interno di un festival come Transart, per esempio, non sarebbero più di richiamo per il pubblico “contemporaneo”? Secondo il direttore (ma io resto convinta che potrebbe essere questa una spiegazione della questione), il problema non sta qui. Bernardi è convinto che il problema sia proprio il contenuto, che non intriga i bolzanini poco attenti e preparati verso determinati linguaggi. Sconfortante però, anche perché quando c’è da essere presenti all’evento mondano- culturale-iper-contemporano-del-momento, il pubblico a Bolzano c’è eccome (c’è anche il vino di solito, che sia una variabile?). E allora, mentre in Teatro Studio si scrive un momento importante del teatro (che è poi molto anche performance, e contaminazione, dunque, spettacoli non solo per addetti ai lavori teatrali, ma per addetti alla contemporaneità e al nuovo in generale) di oggi, la gente dov’è?

“A Bolzano manca la fascia di pubblico tra i 19 e i 25, gli studenti universitari che sono i più attenti a questo tipo di linguaggi. I più giovani (adolescenti) vengono a teatro, ma preferiscono i classici, come anche i nostri abbonati che invece sono più adulti”. Dunque, ancora una volta, l’università e il substrato culturale che essa dovrebbe portare con sé, come radicale mancanza a Bolzano. Porto l’esempio di Trento, dove la subcultura teatrale e l’attenzione per la ricerca è più forte “a Trento ci sono 20.000 studenti universitari, praticamente un terzo della popolazione bolzanina. Questo è il pubblico per “Altri Percorsi” che manca totalmente qui. A Bolzano gli interessati sono pochi, e quei pochi ce li dobbiamo dividere tra tutti”.

Varie dunque le ragioni possibili di sale teatrali tristemente non affollate come si dovrebbe, resta il fatto che potrei fare nomi e cognomi di persone che (ad esempio stasera che c’è spettacolo, Grimmless di Ricci/Forte) “dovrebbero” essere in sala, per interessi personali e professionali, ma che in sala fino ad ora non ho mai visto. Forse è vero che l’essere “contemporanea” è solo una posa, che “fa più scena” andare a vedere Marina Abramovich a Milano, o una performance super sperimentale al Moma di New York (e i bolzanini lo fanno) che andare allo Stabile a vedere quello che comodamente di sperimentale viene proposto in casa propria.

La delusione però resta, perché raramente a Bolzano si è visto tanto e di tale qualità in termini performativi (i gusti poi sono un’altra questione, ma queste cinque portate a Bolzano, hanno segnato tappe importanti nel teatro di ricerca “dell’oggi” in Italia) e a goderci lo spettacolo eravamo troppo pochi e sempre i soliti.

Bolzano forse si deve dare una svegliata, scrollarsi di dosso quella pigrizia atavica che la caratterizza e informarsi, uscire di casa e andare a teatro. Perché poi magari, questo tipo di teatro (probabile, se i numeri restano questi) lo Stabile non lo porterà più e allora, chi lo farà? E soprattutto, poi qualcuno avrà di sicuro forse il coraggio di lamentarsi che a Bolzano non c’è nessuno che porta il teatro di ricerca…

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There are 3 comments for this article.
  • Nazario Zambaldi · 

    ‎…cosa…o come? Non si tratta di “portare” nomi o persone in carne ed ossa (o opere d’arte con interi allestimenti di contorno). Sempre e da sempre si tratta di senso. Certo la coltivazione di abitudini, o meglio dell’Abitudine (leggi Ripetizione) è ciò che più o meno in buona fede occupa localmente (e non solo) una buona parte, silenziosa, che per lo più si identifica con l’Istituzione (la necessità legittima di pubblico ed elettori, pure non coscienti). Nel contemporaneo pare emergere il dato strutturale che “il mezzo è il messaggio”, che vale anche per le altre forme di arte, teatro e non solo: quindi il fruire “comodamente” di per sè dichiara il corto… circuito di chi non ricorda che arte e teatro (e pure ciò che chiamiamo vita) dovrebbe almeno scomodare se non scandalizzare. Ieri sera per esempio all’interno di una serie di spettacoli accostati sotto il nome “ALTRI PERCORSI” come in uno Zoo, o in vetrina, ho assistito alla ripetizione prosaica di stilemi teatrali “d’avanguardia” ormai depositata negli anni Novanta, ma si tratta di opinione, certo, forse di un giudizio affrettato. E forse come una leggera risonanza questa mia perplessità è stata colta dagli attori pur simpatici che mi hanno incoronato “Principe Azzurro” costringendomi in scena senza preavviso, anticipando di poco il mio primo abbandono di uno spettacolo prima della conclusione. Devo dire che la prospettiva risultava più interessante (e non solo per il mio non proprio latente egocentrismo, forse ha a che fare con la scomodità di cui dicevo), in particolare le note di “Run to me” dei primi Bee Gees per la sovrapposizione di sogno e ricordo mi hanno riportato all’infanzia in cui mio padre li ascoltava dal mangianastri, e sorridendo ho mimato il ritornello, ritornando alla situazione di abbandono attuale da cui le parole dei fratelli Gibb parevano riscattarmi. Allora ho abbandonato le leggere ostilità e anche la corona di plastica e la scena in quel momento ancora occupata abusivamente su una seggiolina azzurrina che iniziava a diventare scomoda… inutilmente. Sono tornato in fondo, al mio sedile, N 04, nel buio. Pazienza, ancora pazienza. Senza rassegnazione. Forse Biancaneve tornerà Eva… Basta che la mela diventi d’oro. Il paese a forma di scarpa non esiste più, la realtà e le narrazioni della realtà sono fiabe, lo sono ormai da tempo…

  • Jimmy Milanese · 

    E’ difficile ragionare sulla crisi del teatro, oppure su quella del cinema. E’ difficile perché, al di là dello sconforto nel vedere un teatro/cinema mezzo pieno o mezzo vuoto, poi bisogna analizzare nel concreto cosa succede in teatro o al cinema e fuori dal teatro/cinema, al punto di svuotare le sale.
    La mia opinione (parziale e non definitiva, che spero qualcuno confuti, contesti o completi) è che il teatro, così come altri settori della cultura quali il cinema (e non solo), sono vittime di un processo di trasformazione della società, in gran parte stimolato dall’introduzione delle tecnologie audiovisive, multimediali e telematiche. C’è stata la fine del cinema muto e ci sarà la fine del cinema o del teatro per come lo intendiamo noi ancora oggi.

    Da quando l’uomo ha iniziato a produrre supporti tecnologici capaci di “privatizzare” la fruizione di quelle forme d’arte di tipo cinematografico o teatrale, è iniziata la crisi di quei settori, successivamente acuita dal web e internet. Le videocassette, i Dvd, poi le varie forme di downloading e youtube vari, blog, podcast ecc… hanno agito in due modi: sottraendo gradualmente spettatori al cinema e al teatro; sostituendo il luogo pubblico con il chiuso delle mura domestiche. Io stesso, in questo preciso momento, scrivo queste riflessioni a non so bene chi e nemmeno perché, sottraendo questi minuti a una passeggiata o una chiacchierata al bar con amici, magari sullo stesso tema, ma in forma di contraddittorio. Mi eclisso dalla società, ma l’impressione – effimera – è che tutti potranno leggere quello che scrivo.

    Oggi più che ieri, le opportunità pratiche per spendere il denaro guadagnato sono aumentate. Puoi permetterti di vedere una Traviata alla Scala di Milano, seduto davanti al tuo computer e la sensazione è di avere visto quella roba la che è l’opera. Poi, eventualmente, una volta a teatro ci vai veramente, tanto per fare l’esperienza di persona. Che ne so, nel 1985 se parlavi a un ragazzo di Opera o di Teatro, a malapena esistevano le videocassette. Quindi, la curiosità era sostenuta dal fascino dell’ignoto. Ora, in era www, sappiamo pure cosa c’è tra gli inguini delle nota showgirl: l’immaginazione sembra una antica ruota di pietra!

    Possediamo un cellulare che consuma buona parte del nostro budget, ci informiamo sulla rete molto più che sulla carta stampata e riduciamo il confronto diretto con la nostra specie, oggi! Il punto, secondo me, se mi si passa la banalizzazione, è che la giornata, la settimana, il mese, l’anno, la nostra vita intera, se vogliamo, è un contenitore limitato dove, aumentando la varietà dei generi, diminuisce il peso degli stessi in termini assoluti. Facciamo molte più cose e meno di tutto.
    Prima della rete e del downloading, compravi 3 cd al mese, andavi 3 volte al mese a teatro, 3 volte al cinema, 3 volte a mangiare la pizza. Oggi, la pizza te la portano a domicilio, non noleggeresti un film nemmeno se te lo portasse Greta Garbo, ma ti scarichi quello che vuoi dalla rete (non certo quello che impone la programmazione nei cinema) e la musica te la ascolti su youtube e, se proprio ti piace, la scarichi su una chiavetta delle dimensioni di un cucchiaino. Ci sono ragazzi che nella tasca hanno più o meno quello che Red Ronnie ha nella sua collezione di dischi! Quei ragazzi che nel giro di 10 minuti hanno sentito una media di 50 / 60 canzoni, ma a 5 secondi l’una: la pazienza diventa una clava di legno, marcio!

    Se hai un appuntamento con gli amici, non devi telefonare alla loro abitazione, farti passare l’amico dalla mamma che prima ti chiede chi sei, cosa vuoi e come sta tuo padre; non devi spiegare a tutti perché dai buca e rimani a casa, invece, basta un sms del tipo “non ce la faccio, sono incasinato” e nessuno ti dirà mai che sei un tirapacchi. Le sedie vuote a teatro con biglietti precedentemente staccati sono aumentate più della diminuzione dei biglietti venduti!

    In questo contesto, il teatro, anzi, il teatro di sperimentazione, dovrebbe riempire i posti a sedere? Teatri pieni in una città etnicamente determinata, senza una juventute universitaria e dall’offerta culturale parcellizzata come il manto di un dalmata? La risposta è “NO”! Ovviamente, è No. Non credo nemmeno che qualcuno mai si lamenterà per l’assenza di un teatro di sperimentazione. Invece, molti si lamentano ancora per la chiusura dei cinema. Quell’avverbio “ancora” è, anch’esso, in via d’estinzione! Addirittura, a Merano hanno raccolto 2000 e oltre firme per chiedere l’apertura di un cinema. Se apri un cinema, devi spegnere diciamo 300 computer!
    Ora, io ho chiesto a circa 20 di quei firmatari quante volte è andato al cinema, nel corso degli ultimi 12 mesi. Il “cinefilo” del gruppo ha risposto, e con un certo orgoglio “penso 5 o 6 volte”.

    “C’era una volta un Paese a forma di scarpa, e ora non c’è più”. Aggiungo: non c’è e non ci sarà mai più.