Vicari sul film Diaz: “In questa storia, tutto quello che oggi è l’Italia”

Vicari sul film Diaz: “In questa storia, tutto quello che oggi è l’Italia”
Un film d’altri tempi per raccontare un evento centrale della nostra storia recente è “Diaz don’t clean up this blood” di Daniele Vicari con Elio Germano e Claudio Santamaria e prodotto da Fandango. Un’opera che ricorda il cinema di Francesco Rosi e Gianmaria Volontè, con cui degli italiani provano dopo un lungo black-out a raccontare con sincerità gli angoli bui del proprio Paese. Alla Berlinale il film ha vinto il premio del pubblico e il 13 aprile uscirà in 100 sale italiane narrando la storia di quella che Amnesty International ha definito “la più grande violazione dei diritti umani in un paese occidentale nel dopoguerra” Il pestaggio sistematico di 93 persone inermi che dormivano nella scuola Diaz durante il g8 del 2001 e la loro traduzione forzata in carcere dove furono sottoposti a pesantissime torture fisiche e psicologiche.
Ha incominciato a pensare al film dopo la sentenza assolutoria di primo grado. L’appello ha ribaltato il verdetto, questo ha cambiato la realizzazione del film?
Con Domenico (Procacci, il produttore ndr) avevamo deciso di approfondire un evento d’importanza straordinaria ed europea. La sentenza di appello non ha solo ribaltato il primo grado, ma ha fornito un fondamento essenziale per un film basato su prove e non su illazioni. In realtà però neppure la sentenza di primo grado negava le violenze ai manifestanti, escludeva soltanto le responsabilità dei dirigenti, limitandola agli agenti e ai capisquadra. I fatti non li ha mai negati nessuno.
Secondo indiscrezioni il film ometterebbe di parlare delle responsabilità politiche.
Ho fatto una scelta narrativa, decidendo di raccontare i fatti della Diaz e quelli di Bolzaneto attraverso le storie dei protagonisti, questa scelta fa si che il livello della decisione politica resti fuori, ma è molto chiaro allo spettatore la mano libera che hanno i poliziotti, la responsabilità politica è connaturata a quello che è successo. Dopo dieci anni è importante comprendere che cosa sia accaduto perché nel modo in cui queste cose si sono manifestate c’è tutto quello che oggi è l’Italia.
In che senso?
La storia della Diaz si muove fra pressapochismo e ferocia, due elementi che hanno caratterizzato la storia italiana recente in maniera determinante. Dieci anni dopo siamo in una specie di dopoguerra, una guerra fatta dalla classe dirigente contro i cittadini.
Ed è finita?
Continua, ma in mezzo alle macerie. Se non ci rendiamo conto di quale enorme disfunzione democratica stiamo vivendo il nostro è un paese che rischia, altro che la Grecia. Non è solo un problema economico, ma politico e di etica pubblica, la macchinazioni delle polizia, la costruzione delle prove, i falsi comunicati stampa che ad oggi non sono mai stati smentiti, sono cose fatte solo per chi ci vuole credere, perché era evidente a tutti che non stavano in piedi invece un paese intero ha voluto crederci, in questo senso c’è un pezzo di storia italiana nella vicenda della Diaz. Non voglio fare il sociologo ma il modo con cui i poliziotti distruggono fisicamente le persone dentro la Diaz e a Bolzaneto è un modo preciso.
Premeditato?
Più che premeditato particolare. Per esempio l’accanimento nei confronti delle donne fra impressione, ed è qualcosa che prorompe dalla nostra cultura e noi volente o nolente lo abbiamo accettato, in base a una spiegazione un po’ astratta “Ah li ci sono quelli che hanno distrutto le vetrine”. Ammesso e non concesso, in un paese decentemente democratico un poliziotto può fare controlli e arrestare le persone, magari riducendo all’impotenza chi oppone resistenza, ma non ti devasta, non ti priva della dignità
Il movimento cosidetto Noglobal aveva anticipato molti temi che oggi ritornano di fronte alla crisi, come ad esempio la Tobin Tax. Crede che la repressione violenta del movimento abbia rallentato queste istanze?
Come cittadino europeo trovo assolutamente patetico che una delle parole d’ordine del “feroce e pericoloso” movimento no global venga riproposto ora dai governi di destra europei. Dov’erano 10 anni fa? Qual era la loro visione del mondo? Quante responsabilità hanno per averci messo 10 anni a fare 2+2? Ma la cosa più grave accaduta a Genova è stata la sospensione dei diritti civili, nessun paese europeo ha fatto una seria protesta per questo. Con la repressione si sono cancellate le argomentazioni valide di un movimento di cui facevano parte anche grandi economisti, eliminando così dal dibattito idee che potevano essere utili all’umanità.
Parte del film è stato girato in Alto Adige grazie alla Bls.
La Bls fino quasi alla fine delle riprese è stata l’unica istituzione in Italia a credere con molto coraggio nel progetto, ci siamo sentiti accolti da tutti anche dalla Polizia che ci ha aiutato a fare delle riprese complicate in autostrada. La fiducia della Bls ci ha aiutato molto all’inizio mentre i 400mila euro del ministero sono arrivati solo alla fine. Il grosso degli 8 milioni che è costato il film sono stati coperti da finanziatori privati principalmente stranieri.
L’intervista di Daniele Rielli è uscita il 24 marzo sul Corriere dell’Alto Adige / Corriere della Sera