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March 20, 2012

Bertolt Brecht: in Memoria di te, Arte!

Jimmy Milanese

La Germania tra 800 e l’Anschluss, dove Bertolt Brecht cresce e si forma, era una nazione dominata dai giovani signori dell’aristocrazia terriera ma capace di produrre un’arte universale, al tempo sia della guerra sia della crisi economica.

In teatro dominavano il naturalista Arthur Schnitzler della corrente non ancora tedesca «Jung Wien», e l’antinaturalista Hugo von Hofmannstahl; mentre la ribellione dei pittori espressionisti ripiegava sempre di più la realtà al volere dell’arte e dell’artista. L’interpretazione soggettiva e parziale del mondo stava diventando (e per sempre) una forma d’arte.

La Germania era stata sconfitta militarmente e umiliata nella Galleria degli Specchi del Palazzo di Versailles, perché costretta a firmare un accordo di pace eccessivamente oneroso. Di li a poco, le conseguenze di quella pace avrebbero riemerso l’orgoglio germanico nelle forme che ben conosciamo e riportato l’Europa nel secondo conflitto bellico.

Nel frattempo, la popolarissima rivista berlinese «Sturm» esaltava le opere di Franc Marc o quelle di Auguste Macke, coinvolti nella feroce decostruzione del mondo reale che vedeva contrapposti gli esponenti del movimento «Der Blaue Reiter» ai seguaci di Emil Nolde, riuniti attorno al gruppo «Die Brücke». Franz Pfemfer pubblicava regolarmente la rivista socialista «Die Action», inneggiando alla rivoluzione bolscevica. Karl Sternheim faceva dell’antiborghesismo la matrice del suo teatro e delle sue riflessioni pubbliche, fino ad arrivare alle opere di Arnold Bronnen, goriziano di nascita tedesca, che fissava il destino del mondo come governato da forze invincibili del male.

Mentre tutto questo e altro fervore culturale ribolliva nel calderone germanico, una spaventosa crisi economica decretava l’ascesa al potere assoluto di Adolf Hitler: summa massima di questo complesso turbinio di correnti culturali, istanze ideologiche e rivendicazioni sociali, materializzatesi nella figura del Führer supremo. Il teatro si normalizzava e diventava strumento di propaganda. I suoi maggiori esponenti – chi per appartenenza alla «razza ebraica» chi per incompatibilità col regime – abbandonavano il nascente Reich per emigrare negli Stati Uniti.

Tra questi, il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht. In attesa di ottenere il visto per gli Stati Uniti, in un piccolo albergo di Helsinki, egli scrive un piccolo dramma nel quale prende in giro la figura di Hitler e, soprattutto, quella corte di personaggi che attorno a lui hanno agito. «La resistibile ascesa di Arturo Ui» è forse l’opera più complessa e inquietante di Brecht. Difficile capire se si tratti di un’opera dagli intenti comici, oppure se scaturisca da un momento di forte rabbia nei confronti del popolo germanico, ritenuto responsabile di  quella ascesa al potere. Fatto sta che, al pari di Charlie Chaplin, egli si prende gioco del Nazionalsocialismo, storpiando i nomi dei suoi protagonisti ma inserendo una serie infinita di citazioni dal teatro classico al fine di rendere ben visibile l’assurdità implicita nella dittatura nazista al confronto con secoli di gloriosa storia mediterranea.

Brecht non è stato soltanto un drammaturgo; ha scritto per giornali e riviste, si è occupato di politica in modo attivo, ha creato e diretto la prestigiosa compagnia teatrale Berliner Ensemble, ha sfiorato il cinema e ha occupato la scena intellettuale tedesca e americana per almeno due decenni. In estrema e riduttiva sintesi, il suo teatro, il suo contributo al mondo contemporaneo, è nella capacità di tenere viva la Memoria: univa e vera ragione della nostra esistenza.

 

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