Viaggio in Sicilia giorno #01: Pachino

Pachino. Pomodori piccoli rossi rotondi succosi e ricchi del sole del Sud che già a marzo scalda.
Ma Pachino è anche una piazza grande, dal sapore quasi sudamericano, semideserta alle 11 del mattino, con qualche gruppo di vecchietti a chiacchierare, in un angolo, all’ombra di qualche albero o degli edifici bassi che la fiancheggiano. Le donne passeggiano veloci, sembrano ombre che attraversano la piazza per andare a fare la spesa. Solo qualche mamma si ferma ai giochi per intrattenere i figlioletti.
Agli anziani del paese, su un lato della piazza, fanno da contrappunto, sull’altro lato, gruppuscoli di immigrati. Gli uni sembrano aspettare che qualcosa passi (forse il tempo o la loro vita), gli altri sono in attesa di ben altro, un lavoro, un futuro o un permesso di soggiorno che li tolga dall’anonimato di una vita vissuta nella clandestinità.
Come Naeem, 27 anni, arrivato in Sicilia 7 anni fa dalla sua Tunisia, che ancora spera in un permesso di soggiorno per una vita migliore. O per poter fare almeno ritorno a casa. Ma oltre a lavorare in nero nei campi, per ora non sembra poter fare altro.
O Jamal, che di anni ne ha 36 ma è più fortunato ed è legalmente residente a Pachino insieme a moglie e figli. Di integrazione non se ne parla però, dice con la sua bocca piena di denti rovinati. La pelle bruciata dal sole. Rimpiange l’Algeria, da cui sembrava non poter far altro che fuggire. A fatico capisco il suo siciliano, che lui pensa essere italianissmo, mentre dice “iddu” indicandomi il compare Mohammed, 50 anni che addosso gli stanno come 65. Anche lui conferma che, tornasse indietro, mica la rifarebbe questa follia di andare altrove per sentirsi così.
In quel momento avanza lento attraversando la piazza Nino Gullotta, con il figlio Michele.
E il nostro amico Ramzi, a sua volta immigrato tunisino ma con una storia di successo alle spalle, mediatore culturale impegnato per la sopravvivenza e l’integrazione degli immigrati, lo ferma per presentarlo a questo gruppo di studenti americani con cui mi ritrovo a visitare, un giorno di marzo, un paesino della Sicilia che fino a ora per me significava solo pomodori.
“È un eroe dei nostri giorni”, così lo definisce, mentre racconta del centro per immigrati che Nino dirige a titolo del tutto gratuito insegnando l’italiano a una trentina dei tremila stranieri presenti in questa cittadina di 20’000 abitanti. Accanto a lui Michele, 31 anni e una malattia cromosomica che non gli impedisce di sfoderare il suo inglese e un sorriso.
E prima di lasciare Pachino e ridirigerci verso la campagna, dove i pomodori brillano alla luce del sole anche sotto i teli che ancora li proteggono, ci ritroviamo a declamare, in piazza, una poesia dell’algerino Abd El Kader Guellali, compagno di Khaled in patria e poi destinato a un futuro meno radioso e a una morte precoce. Con l’eternità, però, della poesia:
LA PAIX
J’écrirai ton nom en blanc
Sur les murs des maisons.
Je sculpterai ton nom en lettres dorées
au coeur des églises et des mosquées.
De l’Orient à l’Occident,
Tu appartiens à toutes les nations.
Tu appartiens à toutes les religions.
Tu appartiens aux adultes et aux enfants.
Je planterai ta banderole très haut,
Sur la statue de la liberté.
Je lancerai les messages et les échos,
Pour changer les rêves en réalité.
Si tu étais une femme, je t’épouserais
Pour le meilleur et le pire
Pour la vie et l’éternité
Et protégerais ton avenir.
Je me battrai pour te défendre
Sans jamais porter une arme à feu.
Je me battrai pour te défendre
Avec la parole et en priant Dieu.
Je dessinerai ton nom en grand
Tout le long de la muraille de Chine.
Je t’écris ce poème à l’encre de mon sang
Qui sera pour toujours ton hymne.
Recitata durante una manifestazione per la pace a Pachino, il 18/03/2003.