People + Views > Bloggers

March 16, 2012

La città che cambia: ripensare tempo, spazio e desiderio

El_Pinta

Si è svolto ieri sera (giovedì 15/03) presso la sala polifunzionale “Rosenbach” di piazza Nikoletti 4 il convengno dal titolo La città che cambia – Die Stadt im Wandel. L’evento fa parte del ciclo di appuntamenti inseriti nel programma della manifestazione Time_Code 2012, ormai giunta al suo terzo ciclo. Intorno al tema – cruciale – della città e dei cambiamenti che caratterizzano la forma urbana nella contemporaneità si sono confrontati gli architetti Andrea D’Affronto, Monica Carmen (con funzioni di moderatrice) e Kathrin Dorigo, l’assessora all’urbanistica Maria Chiara Pasquali e lo scrittore toscano Vanni Santoni.

Il format della manifestazione è estremamente convincente. Affrontare infatti una discussione che intrecci i temi dell’abitabilità dello spazio pubblico e rifletta sulla forma e le trasformazioni della città a partire dal lavoro di uno scrittore consente di ragionare a partire da uno sguardo obliquo, quello letterario, capace in ragione della sua ec-centricità di punzecchiare e portare il discorso dei tecnici a confrontarsi con punti di vista che passano spesso inosservati.

Se fossi fuoco, arderei Firenze, il libro di Vanni Santoni al centro della discussione di ieri sera, è indubbiamente un ottimo punto di partenza. Protagonista del romanzo è infatti la città di Firenze, il centro gravitazionale attorno a cui si muovono le orbite di una massa di personaggi, giovani e meno giovani, intenti a vivere le proprie maschere in una dinamica conflittuale che ne intreccia le traiettorie lungo vettori regolati tanto dal caso quanto dalla forma urbana stessa. Lo scrittore si sofferma sulla genesi del libro e in particolare sul titolo: scomodo e ruffiano da una parte, con la sua citazione così facile e abusata, eppure allo stesso tempo straordinariamente adatto a esprimere un senso di amore e odio nei confronti di una città verso cui si nutre un sentimento venato di nichilismo.

Santoni fa notare come questo sentimento di amore e odio nei confronti di Firenze nasca anche dalla constatazione che l’esperienza della città è sempre storicizzata dai suoi elementi monumentali e architettonici. Un passato il cui peso, spesso, grava sulle spalle del presente configurando una decisa resistenza la cambiamento. Proprio sul tema della resistenza al cambiamento viene introdotto un confronto in cui vengono evidenziate alcune differenze e similitudini tra Firenze e Bolzano. Ad articolare questo confronto è l’architetto Andrea D’Affronto nel cui intervento, oltre a ricordare i legami storici tra il capoluogo toscano e quello altoatesino, vengono messi in luce alcuni aspetti di grande interesse che aprono il dibattito sull’urbanistica bolzanina.

Laddove a Firenze è il peso della storia a inibire certe possibilità di cambiamento, a Bolzano, nota D’Affronto, sono spesso questioni di carattere etnico a generare resistenze al cambiamento. Inoltre l’architetto pone con acume la questione della gestione e dell’abitabilità degli spazi urbani da parte della componente giovanile della città. A fronte di una sostanziale chiusura dell’istituzione universitaria nei confronti della città (caratteristica che si riscontra anche a Firenze e che forse caratterizza molte delle sedi universitaria in Italia, specialmente quelle più provinciali) si riscontra anche, dice ancora D’Affronto, un’eccessiva istituzionalizzazione del desiderio che, prevenendo dal rischio, impedisce lo sviluppo di quella radicalità di pensiero che è una componente irrinunciabile nelle più vitali correnti artistiche contemporanee.

Naturalmente questa riflessione deve essere storicizzata e non può non tenere conto dei fattori che caratterizzano la città di Bolzano e lo sviluppo della cittadinanza in questi ultimi trent’anni, ma è senza dubbio un buon punto di partenza per provare a ripensare le politiche giovanili bolzanine sulla base di concetti come, appunto, il desiderio, la radicalità delle pratiche e del pensiero. Fattori che possono essere decisivi per rilanciare il protagonismo delle giovani generazioni anche e soprattutto in una chiave di investimento sul futuro della città e della cittadinanza come elementi fondamentali di quella democrazia dei beni comuni il cui statuto è stato al centro del dibattito culturale nazionale durante l’anno appena trascorso.

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are 2 comments for this article.
  • Fabio Gobbato · 

    Caro El_Pinta, come ti dicevo su Fb, ci ho messo qualche secondo a unire i neuroni e a capire la frase sull’istituzionalizzazione dei desideri e l’assenza di radicalità. Mi rendo conto della superficialità del mio ragionamento, ma forse il punto è che Bolzano ne ha già abbastanza delle radicalità etniche e non può permettersene altre. A volte è come se ci fosse una sorta di autocensura preventiva e la coscienza che le istituzioni non potebbero tollerare altre “radicalità”. Se penso alla questione degli spazi, al famoso nuovo Kubo, quello che dici è verissimo. In molte altre città – non in tutte, ad essere sinceri – 100 persone che desiderano una cosa del genere, se “la prendono” o quanto meno ci pensano seriamente. Qui, per molti motivi, non solo non accade, ma quasi nessuno è neppure sforato dall’idea. Qui si chiede all’istituzione di materializzare un desiderio. E tenendo conto, appunto, di come ogni cosa rischi di essere strumentalizzata etnicamente, l’eccesso di istituzionalizzazione, forse, può non essere di per sè negativo.

  • El_Pinta · 

    Fabio: non credo che il tuo sia un ragionamento superficiale, tutt’altro. Non lo è perché, come scrivo nel post, prova a storicizzare il dibattito e a ricostruire i contesti necessari al ragionamento.
    È vero che nella nostra città le radicalità etniche hanno un peso e la città “non può permettersene altre”, di questo va tenuto giustamente conto e io non sono neppure così miope da pensare che l’attenzione da parte delle istituzioni sia necessariamente un male. Vanni Santoni ieri sera parlava di come il percorso di crescita di spazi importanti a Firenze, Roma, Bologna e in altre città abbia beneficiato molto di una certa capacità da parte delle istituzioni di assecondare, anche solo per mera convenienza, realtà nate in contesti anche di aperta conflittualità con le istituzioni stesse.
    Quello che però io trovo negativo, nella nostra realtà, è che l’attitudine a chiedere la materializzazione del proprio desiderio finisca anche per assolvere da quella necessaria “parte del rischio” che è componente essenziale, a mio avviso, di ogni esperienza del “reale”.
    Provo a fare un esempio, per tanti anni associazioni come Sk8board project hanno chiesto all’amministrazione comunale di istituzionalizzare l’area sui parti del Talvera che era stata “occupata” dagli sk8er.
    Il percorso è stato lungo ma alla fine (era il 2003) lo sk8park è stato acquistato dal Comune. Un peso considerevole nella risoluzione della controversia lo ha avuto il fastidio creato dagli sk8er durante la stagione del Landhaus: quando cioè la nuova piazza del palazzo provinciale di fronte alla stazione veniva utilizzata come sk8park.
    Una volta ottenuto lo sk8park, tuttavia, gli sk8er sono diventati utenti di un’opera di arredo urbano ma non ne sono diventati davvero proprietari. Non si è prodotta quella presa di coscienza che ho visto prodursi altrove in situazioni analoghe e che porta a farsi carico della responsabilità di uno spazio.
    Risultato: in un tempo relativamente breve (circa 6 anni) quello spazio si è deteriorato ed è morto e così è successo a tanti altri spazi in giro per la città.
    Il mio timore è che chiedere sempre all’istituzione di materializzare i nostri desideri come i nostri genitori esaudiscono una letterina a Babbo Natale sia, alla lunga, controproducente proprio perché spesso impedisce di farsi carico della necessaria parte di responsabilità

Related Articles

Archive > Bloggers