Dj Ralf, sabato 10 all’Halle28, pioniere della house. L’abbiamo intervistato

Dj Ralf, sabato 10 all’Halle28, pioniere della house. L’abbiamo intervistato
Dj Ralf ha iniziato a metter dischi quando i set s’inventavano al momento, pescando da un genere ad un altro: da Barry White agli Stones, dai Soft Cell ai Kraftwerk. Non era tanto la tecnica che contava quanto la capacità di saper raccontare, attraverso la musica, storie avvincenti, genuine e trasudanti passione. Passano gli anni, cambiano le mode ma Ralf, quelle storie, continua a saperle raccontare. Dalle prime serate nei piccoli locali di provincia a quelle al Ministry of Sound di Londra e poi Miami, Honk Kong, Amsterdam, Barcellona, Ibiza… Nel 2006 fonda la sua etichetta, Laterra Recordings, e la prima uscita in catalogo, “I’ve done it”, è prodotta a due mani con l’amico Alex Neri. Questo in breve il curriculum di un fuoriclasse, in poche righe la carriera di uno che mastica house da trent’anni. Bucolico, istintivo, ritmico, ipnotico. L’elenco è lungo ed a voi la scelta. Per la serata il consiglio è semplice: svestirsi di aspettative e pregiudizi, calarsi in pista e lasciare che sia lui ad occuparsi di tutto il resto.
“Siamo giunti ad un punto che se suoni un pezzo lento, la gente pensa che tu sia pazzo. Il modo di fare festa oggi, le droghe che girano per strada, tutto deve essere pazzo, selvaggio ed elettronico”. Non è lo sfogo di qualche nostalgico contemporaneo ma le parole che Larry Levan usava trent’anni fa, per descrivere quel cambiamento che stava avvenendo all’interno dei club. Tu, dj eclettico, che nello scegliere i pezzi da suonare riesci ancora a stupire e spiazzare il pubblico, tu che possiedi ancora quel dono raro d’interpretare alla perfezione gli umori della pista, come fotograferesti oggi la situazione?
Bisogna tenere conto che il momento storico in cui Larry Levan, che è stato uno dei dj al quale più mi sono ispirato all’inizio della mia carriera, diceva queste cose, era per il night clubbing un momento di cruciale cambiamento. Non dimentichiamoci che fino alla fine degli anni Settanta era ancora perfettamente normale alternare brani dal ritmo veloce e brani lenti che si ballavano in coppia. Da quel momento in poi cominciò a delinearsi una forma di musica da ballo molto più tribale, incalzante e quasi rituale che non poteva e non può prevedere momenti di pausa troppo lunghi. La situazione odierna, tolte le fisiologiche differenze, alla fine non è molto differente da quella che ho sempre vissuto dall’avvento della cosiddetta house ad oggi.
Da qualche anno, per due serate al mese, rompi gli schemi classici del club in quel di Perugia, con le tue serate Bellaciao. Al timone di questa nave sei riuscito a creare un’atmosfera genuina, intima e famigliare che ha dato vita ad un appassionato passaparola. Sembra che tu fossi alla ricerca di un luogo ideale dove poter trovare quel particolare feedback con la gente. Quali sono i punti deboli dei club oggi, quegli aspetti che ti hanno invogliato ad intraprendere questa avventura?
Penso che il problema principale del “movimento” sia dato dal fatto che spesso le serate, pur avendo una parvenza ultra alternativa, in realtà siano concepite esclusivamente per puro e semplice business. Ora, guadagnare soldi quando si ha un talento ed un’attitudine speciale, o quando ci si impegna anima e corpo per organizzare un evento, è perfettamente normale e giusto. Ma la spinta principale, la pura, primordiale propulsione deve venire dalla passione, altrimenti è tutto posticcio. Tutto traballante. Le persone hanno voglia di sostanza e di verità, e soprattutto di riconoscersi in una visione, in un progetto che, in qualche modo le riguarda, che le vede protagoniste ,senza mediazioni.
Come darti torto quando racconti di aver avuto uno shock ascoltando Ummagumma dei Pink Floyd. Tu che divori musica per passione, e che di questa passione ne hai fatto il tuo mestiere, quali sono i dischi in ambito dance che sono riusciti a shockarti?
Sono talmente tanti che faccio fatica a nominarne alcuni. Sicuramente “Notice me” di Sandee, “The Message” di Grand Master Flash e Furious Five, “Set It Of” di Strafe, “Go Bang” di Dinosaur L, “Born Slippy” degli Underworld, “Polar Shift” di Trentmøller…
Hai girato il mondo ma spesso ci tieni a definirti: paesano e campagnolo. Non hai mai abbandonato la vita di provincia. Quali aspetti negativi di una metropoli e quali quelli positivi di campagna hanno influito sulla tua scelta?
Non mi piace essere circondato da tanta gente al di fuori del mio lavoro. Mi piace la calma della campagna, i tempi dilatati ed il silenzio oltre che la maggior facilità nel costruire ed intrattenere i rapporti umani. Della città non amo gli aspetti esattamente contrari a quelli che ho appena elencato. Certo, ci sono metropoli che hanno un’energia ed una magia irripetibili. Le amo e le frequento ma non per lunghi periodi.
Citando un pezzo dei Blaze “Do you remember house?”, finisse oggi, come ricorderesti la tua house?
Sesso, sudore e linea di basso.