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February 8, 2012

Quel che resta del giardino dei ciliegi!

Jimmy Milanese

Di fronte alla grandezza di Tolstoj o alla densità Dostoevskij, Anton Cechov soccombe, schiacciato dal peso della fama dei due giganti della letteratura sovietica. Non accade altrettanto, se dal piano strettamente letterario ci spostiamo sul piano della condotta morale. Mentre i primi hanno vissuto e perso il conflitto tra lo schema morale-ideologico precostituito dalla società sovietica e la vivente esigenza di libertà della poesia, Cechov é rimasto estraneo a qualsiasi tentazione di profezia o predica.

La Russia che, a partire dalla salita al trono di Ivan il Terribile nel 1547, aveva iniziato una lenta ma inesorabile espansione geografica, cercò, sia ad opera degli Zar sia, in seguito, per opera dei suoi figli della Rivoluzione, di “espandere” il suo dominio assoluto fino al condizionamento dei suoi grandi padri culturali.

Con Cechov e con pochi altri (ad esempio, il compositore Dmitrij Šostakovič) questo intendimento fallì, perché egli non era solito occuparsi di società politica. Cechov era interessato alla società civile, anzi, all’inciviltà non descritta di quel sistema sociale oppressivo che il drammaturgo aveva iniziato a conoscere a partire dall’inizio del regno di Alessandro III. Si rendeva ben conto delle condizioni disumane della popolazione russa, delle repressioni violente e dei regimi sanguinari che si susseguivano a forza di attentati. Forse, letto in questo modo, il suo mimetismo, che lo ha portato ad utilizzare numerosi e bizzarri pseudonimi, non fu casuale.

Prima medico di un certo successo, Cechov iniziò a pubblicare giovanissimo. Contestualmente, schedava e classificava i “tipi umani” che gli si presentavano di fronte nel corso delle sue visite. Da questi appunti, che vennero raccolti perfino sull’Isola di Sachalin, dove Cechov aveva visitato gli sfortunati deportati per motivi politici, nascono i suoi racconti. In un gigantesco catalogo antropologico del mondo russo contemporaneo, egli estrae i personaggi della vita quotidiana che ritroviamo nelle sue opere: persone imprigionate nei loro tic, mužic tanto incolti quanto brutali, nobili assetati di denaro, studenti idealisti e medici dal tragico destino, borghesotti tirchi e funzionari pubblici corrotti. Come in un esercizio infernale, egli attribuiva a questi miseri esseri disavventure di gravità crescente in proporzione con l’insostenibilità del loro carattere.

Questo è il mondo che bisogna cercare di scorgere nel “Giardino dei ciliegi” perché, proprio come diceva Tolstoj, Cechov va guardato da lontano, dove tutto diventa chiaro, indiscutibile. Nel “Giardino”, ritornano i ricordi della sua infanzia, le vicissitudini di una famiglia ridotta sul lastrico e spogliata dei suoi pochi averi, la fine dell’aristocrazia e la nascita della piccola borghesia.   Le cronache narrano che il grande teorico del cinema, Stanislavski, diresse la prima come una tragedia, mentre oggi, purtroppo, quel dramma viene letto in chiave drammatica al limite della farsa.

Nato in una piccola città sul Mar d’Azov, Cechov scrive la sua opera forse più conosciuta e rappresentata, quando si trova in condizioni fisiche già precarie, che non gli impediscono però di prendere posizione a favore dell’amico Gor’kij, bistrattato dallo Zar. Oggi, Cechov riposa a Mosca, nell’incantevole cimitero di Novodevicè, accanto a Bulgakov, Ėjzenštejn, Gogol’ e Stanislavsky.  Dimenticato lui, dimenticati loro, dal regime dei petroldollari e gasdotti, proprio come nel finale del “Giardino dei ciliegi”, quando Firs ci saluta e in poche parole riassume tutta la profondità della letteratura russa.

p.s. Per più di mezzo secolo, finchè ne ha avuto la forza, ogni giorno, una minuta signora dai tratti inconfondibilmente caucasici, ha varcato il cancello di quel cimitero per salutare il grande drammaturgo russo. Un saluto povero, misero, fatto di fiori e rami secchi. Giovedì sera, quando si aprirà il sipario del Teatro Stabile, il mio primo ed ultimo pensiero andrà a lei, che ho avuto l’onore di conoscere, e alle sue lacrime che ogni giorno versava in ricordo del suo “piccolo caro Čechonte”!

IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Cechov
traduzione Gerardo Guerrieri
regia Paolo Magelli
scene Lorenzo Banci
costumi Leo Kulas
musiche Arturo Annecchino
con Valentina Banci, Francesco Borchi, Valeria Cocco, Daniel Dwerryhouse, Corrado Giannetti, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni, Paolo Meloni, Silvia Piovan, Luigi Tontoranelli, Sara Zanobbio

TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA
TEATRO STABILE DI SARDEGNA

BOLZANO: Teatro Comunale (Sala Grande)
Turno A giovedì 9 febbraio h. 20.30
Turno B venerdì 10 febbraio h. 20.30
Turno C sabato 11 febbraio h. 20.30
Turno D domenica 12 febbraio h. 16.00

www.teatro-bolzano.it

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