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February 6, 2012

People I Know. Franz Kosta: Salorno, il nano Perkeo e il Carnevale che ritorna

Anna Quinz

Franz Kosta ha 31 anni, è architetto e papà di due bimbi, e da dietro i suoi grossi occhiali neri, ha uno sguardo furbo e vivace, mentre racconta a una velocità di eloquio fuori dall’ordinario, alternando con naturalezza parole italiane e tedesche e termini dialettali (italiani e tedeschi), la storia del suo carnevale salurnese. Forse non tutti sanno che a Salorno, primo paese dell’Alto Adige, se si arriva da Trento, ultimo se si arriva da Bolzano, da tre anni si svolge uno dei più appassionanti carnevali dell’Alto Adige, con parata in costume, carri allegorici e maschere accuratissime, tra cui spicca, re della festa, il nano Perkeo (nel dialetto tedesco della bassa atesina, maschera si dice Maschggra. Il che significa che l’origine della parola è comune alle due lingue – spiega Franz – come poi anche le origini dei salornesi tutti, che pur essendo in parte “italiani” e in parte “tedeschi”, sono poi in fondo tutti provenienti da uno stesso ceppo familiare). Franz, che a Salorno è nato, ha vissuto in collegio a Bolzano negli anni di studio e poi ha frequentato l’Università fuori dai confini dell’Alto Adige. Quando poi la vita l’ha riportato a Salorno (stava per partire per un viaggio attorno al mondo, quando un mondo nuovo ha bussato alla sua porta trasformandolo da globetrotter in giovane papà), ha pensato bene di non adagiarsi sulle lamentele troppo comuni tra la gente di paese, e insieme ad altri compaesani, ha messo in piedi questa grande avventura, per far rivivere a tutti la storia di questo paese di confine, nella folle energia del carnevale.

Perché un gruppo di giovani decide di punto in bianco di organizzare un carnevale così articolato?

Il tempo del carnevale è molto importante. È uno sfogo alla vita moderna dove tutti sono stressati, e tutto è sempre troppo complicato. E poi Salorno è ormai diventato un paese dormitorio, si abita qui, ma si lavora altrove. Lo spirito di comunità e di scambio tra compaesani tende così a disperdersi. Con l’idea del carnevale, volevamo ricreare questo spirito, riunire le persone sotto un progetto comune, che affondasse le radici nel passato del nostro paese, e che sapesse coinvolgere davvero tutti, chi come attore attivo del carnevale, chi nella preparazione dei carri o dei costumi chi anche solo come pubblico.

Ma perché non inventare un carnevale tutto nuovo?

Scegliere di ricreare un carnevale storico come quello che c’era qui secoli fa, riporta il paese nell’epoca in cui era parte dell’impero austroungarico, quando si parlavano più lingue insieme, quando culture diverse erano unite e convivevano in questo crocevia strategico che è sempre stato Salorno. C’era un’atmosfera mitteleuropea molto forte, che poi nel secolo scorso è andata distrutta dalla storia. Dunque ricreare quel tempo e quel contesto, ci ha permesso di ritrovare quell’atmosfera di condivisione di lingue, culture, usi, costumi. E quale occasione migliore del carnevale, nel suo essere liberatorio e festoso?

Com’è vivere a Salorno, a confine tra Trentino e Alto Adige?

Salorno è un paese particolare. Da sempre abituato al passaggio di persone (anche Goethe è passato di qua), dal nord e dal sud, si porta addosso una tradizione di mescolanze e di intrecci. Siamo a cavallo tra due province vicine, ma anche lontane, e di entrambe abbiamo qualcosa. E direi, parlo naturalmente come salurnero, che ci siamo presi le migliori cose da ambedue.

Da Salorno però è partito per studiare altrove. Dove e perché?

Proprio perché vengo da qui, anche quando me ne sono andato per studiare, ho scelto un posto caratterizzato da un mix di culture come Venezia. E poi Vienna, che con il suo passato asburgico ha sempre raccolto gente di origini diverse. Posti insomma abituati al fatto che le persone vanno, e vengono, continuamente. E poi ancora, Beirut, dove ho preparato la tesi di laurea. Il Libano è un posto che amo molto (se potessi, un giorno, quando i miei figli saranno più grandi, ci andrei anche a vivere), anche qui la diversità delle culture è uno degli elementi di maggior fascino, e poi mi ha tanto colpito l’ospitalità, i libanesi mi hanno fatto sempre sentire a casa.

Poi, come Perkeo di cui impersonate nel carnevale il ritorno in patria, è tornato a Salorno. E poi qui ha messo su famiglia. Quando i suoi figli cresceranno, e le chiederanno cosa significa essere altoatesini, cosa risponderà?

I miei nonni sono rispettivamente: una gardenese, uno pusterese, una della Bassa Atesina, uno trentino. Questo per me è essere altoatesini, e vorrei che i miei figli sapessero le lingue di questa terra. Vorrei che imparassero una la latina, una germanica e una slava. Solo così saranno davvero integrati e parte di questa terra, non si perderanno nulla di quel che succede intorno e saranno “europei” a tutti gli effetti. E poi magari li spronerei a imparare una quinta lingua: non mi spiacerebbe se sapessero anche il ladino.

 

Pubblicato su “Corriere dell’Alto Adige” del 29 gennaio 2012

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