Culture + Arts > Performing Arts

January 27, 2012

Salomè in Salopette!

Jimmy Milanese

Una volta all’anno il professore di latino ci invitava a portare i nostri videogiochi in classe. Quel giorno i banchi si riempivano di rudimentali aggeggi elettronici dalle forme e dai colori più strani. Noi ragazzi rimanevamo incollati a quei piccoli schermi e in quel momento, anche se stava per iniziare la pausa, anche se stava per suonare la campanella della fine della scuola, nessuno se ne accorgeva. I suoni sprigionati da quegli oggetti di plastica deformata coprivano il tintinnio della campanella e rapivano le nostre giovani anime in un mondo che sempre più diventava articolato. I codici di quel cosmo prevedevano la conquista di armi sempre più potenti, la distruzione di ogni anima che si frapponeva al cammino trionfale dei nostri guerrieri dai nomi impronunciabili. Quel giorno, mentre noi ragazzi facevamo fuori più o meno tutta la popolazione del nostro pianeta, le ragazze si radunavano in disparte. Rimanevano sedute l’una accanto all’altra e discutevano, preferibilmente contemporaneamente e di argomenti più segreti della formula della Coca Cola. Si scambiavano regali miniaturizzati, ammiravano i loro vestiti e ignoravano completamente quel nugolo di maschiacci invischiato nel gioco della guerra. Quel giorno, se in quella classe fosse sceso un extraterrestre, gli sarebbe stato assai facile dividere il regno dell’uomo in due mondi: quello occupato dal genere maschile, propenso alla guerra e in cerca del dominio assoluto; quello del genere femminile, pacifico e orientato alla cura del proprio apparire.

Chissà perché, esattamente questo mi girava per la testa, l’altro ieri sera, mentre sprofondavo nella poltrona, giusto a un paio di metri da Salomè: una ragazzina che il Vangelo di Marco e Matteo descrive capace di farsi servire su un piatto d’argento la testa di Giovanni Battista, reo di averla rifiutata. Una giovane principessa capace di un uso spudorato del suo fascino e del suo corpo.

Il racconto evangelico portato in scena da Strauss voleva essere un avvertimento contro i rapporti adulterini, assai frequenti all’epoca. Infatti, narrano le Sacre Scritture, la madre di Salomè aveva accettato di unirsi in unione con Erode, il fratello del marito deceduto. Salomè, giovane e bella, si ritrovava così ad avere un patrigno ricco e spietato, nonché irresistibilmente attratto dalla nipote. Salomè, il cui fascino era noto e accresceva di giorno in giorno, si sentiva turbata dalla invettive che provenivano da una prigione nella quale era stato precedentemente rinchiuso il profeta Giovanni Battista. Egli era a dir poco venerato in tutta la giudea, per via della sua profonda vicinanza al Regno dei Cieli. La sua condanna verso quella relazione demoniaca susciterà in Salomè uno stato di profonda eccitazione erotica, tanto da spingerla a desiderare il nudo corpo del profeta. Il suo rifiuto verso una unione con la figlia del peccato provocherà la violenta reazione di Salomè che, tramando assieme alla madre Erodiade, si farà consegnare la testa del profeta, promessa dal patrigno in cambio di una danza erotica.

Nella storia dell’umanità, quei Testi Sacri hanno complicato parecchio la vita sociale. Il concetto del Male opposto a quello del Bene si è insinuato nel DNA della civiltà occidentale, trasformandola in schiava di Dionigi, meglio noto per essere stato colui il quale sospese sopra la testa di Damocle l’omonima spada. In Salomè, celeberrima Opera di Richard Strauss, ispirata a un poema di Oscar Wilde, la tensione tra Bene e Male è ben incastonata in ogni minima azione umana. La visione evangelica, consolatoria perché capace di dividere la buona dalla cattiva strada, è totalmente annullata dalla reazione inimmaginabile di Salomè che, prima vittima, diventa carnefice per l’impellente necessità di soddisfare le sue improvvise passioni amorose. Per l’uomo descritto da Strauss non esiste la possibilità “cristiana” di sistemarsi dalla parte del torto o della ragione. Le categorie del Nero e del Bianco sono bandite e non appartengono ne a Salomè, ne a Erode, ne a Erodiade: tutti sono complici in quel progetto che porta l’uomo, prima o poi, a compiere un atto contrario alla volontà del suo prossimo.

Quindi, quella classe sopra menzionata, divisa in guerrafondai ed estete della bellezza, sembra non avere proprio nulla a che fare con la profonda natura dell’uomo, descritta da Strauss nella sua complessa, intersecata da innumerevoli fattori ed ineffabile per definizione. Il passaggio dall’infanzia all’età adulta è anche un processo di appropriazione delle caratteristiche della personalità del sesso latente, fino al momento in cui, raggiunta una età avanzata, il nostro corpo piomba in uno stato di senilità asessuata che tanto ha in comune col mondo infantile. In questo periodo si consuma il mistero dell’Amore che Erode comprende essere ancor più intangibile rispetto a quello della morte.

Il destino progressivo della nostra specie corre quindi nella direzione della a-sessualizzazione della società; la confusione tra il ruolo di padre e quello di madre, l’accesso femminile ad occupazioni tipicamente occupate dal maschio che, se una volta era dominante, ora subisce inevitabilmente e fatalmente il cambiamento sociale. In Salomè il tema della promiscuità è portato fino alle estreme conseguenza, tanto che i personaggi appaiono quasi come privi di una possibile connotazione di genere. Salomè è la giovane vittima di un scelta scellerata da parte della madre, la quale sceglie il benessere personale e ripudia la moralità. Sarà proprio il richiamo a quella moralità cristiana ad affascinare fino alla follia la giovane Salomè, che addomesticherà quelle voci di condanna, ritrovandosi innamorata del suo autore. In questo gioco perverso si fondono, confondono e rifondono le caratteristiche psicologiche tipiche delle due identità di genere.

Detto questo, rimane ben poco fiato per parlare della nuova produzione del Teatro Comunale di Bolzano. Il genio creativo di Strauss sembra avere partorito un’Opera indistruttibile, proprio perché immanente rispetto allo scorrere del tempo. Indistruttibile rispetto a qualsiasi forma di vilipendio da parte dell’uomo, proprio perché esattamente di vilipendio alle convenzioni sociali si occupa.

In quella struttura musicale, in quelle arie capaci di evocare le situazioni sopra descritte, in quella tensione che tramuta un momento di altissimo erotismo in un epilogo macabro, c’è l’essenza della natura umana: la sua capacità di estrarre polvere da sparo dal seme di una rosa. Poco importa se un acuto è uscito male, se l’impianto scenografico è più o meno gradevole; pochissimo gioverebbe dubitare dell’efficacia di quella sovradimensionata scala a chiocciola, avvitata inutilmente su se stessa; nessun significato avrebbe mettere in discussione costumi di scena poco comprensibili e finiti dentro a una orribile botola infarcita di bolle di sapone. Che senso avrebbe spiegare a chi quella sera era in altro luogo, che il popolo ebraico è difficilmente riducibile allo spazio di cinque macchiette totalmente prive di spessore umano? Sarei in forte imbarazzo anche se dovessi descrivere la mitica danza dei sette veli, dove Salomè dovrebbe agire in un palcoscenico totalmente affascinato dal suo eros, non certo preoccuparsi di schivare soppalchi, travi, sedie, scale e quant’altro, mentre altri sono inenti a gesti di “quasi” autoerotismo.

Infine, se testa mozzata deve essere, che si veda bene o che non si veda proprio, perché non è certo una palla di cartone imbevuta di sugo di pomodoro a far drammatica una decapitazione. Ad ogni modo, se è vero che Salomè debba essere un’Opera dalle forti dissonanze, basata proprio sulla forte contrapposizione tra paganesimo e cristianesimo, allora nulla può essere eccepito alla produzione del Teatro Comunale di Bolzano. Se l’idea dichiarata dagli autori era quella di creare una Salomè attualizzata, moralizzatrice nei confronti di una società allo sfascio e schiava del denaro, del sesso e dal potere, allora il tentativo sembra fallito per deficit di analisi storicosociale. L´intento rimane confnato nel libretto di sala. In altre parole, anche se il tutto sembra non reggere le premesse epistemologiche, ancora una volta, la musica ha il potere, anzi, direi, il fascino, di salvare capre e cavoli e restituire la koinè di quei momenti biblici.

Per concludere, menzione speciale per le voci che hanno riempito la confusione sul palcoscenico. Bravissimi tutti: la Salomè di Cristina Baggio, affascinante, erotica e brava a portare lo spettatore su quella lama insanguinata del rasoio; l’Erode di uno stratosferico Scott MacAllister, che per capacità recitative ha riportato in vita Peter Ustinov di Quo Vadis; il Giovanni Battista di Samuel Youn, perfetto nella parte del profeta; l’Erodiade di Anna Maria Chiuri, sacrificata dalla regia ma applaudita dal pubblico, e tutti gli altri.

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are 10 comments for this article.
  • lucia munaro · 

    Se poi si pensa che dietro o prima di Richard Strauss c’è Oscar Wilde diventa ancor più evidente che non c’è posto in quest’opera per moralismi di alcun genere, la morale è meglio se la applichiamo o proviamo ad applicarla noi che a teatro ci andiamo, quando dal teatro usciamo, nell’essere quotidiano. Il testo di Wilde che sono andata a leggere per l’ occasione, spiega anche certe scelte scenografiche con tutti i simbolismi che ci si vuole attaccare, la luna in primis. Se poi il regista ha voluto divertirsi un attimo e alludere a certe cronache recenti, il tutto, il contrasto tra i costumi pressapoco moderni e il mito biblico, e ancora il kitch barocco delle scene e delle luci stridenti, ha solamente a mio avviso, volontariamente o meno, posto lo svolgersi del dramma in un tempo senza connotazioni precise e ha indirettamente esaltato il puro gioco tra le parti, la musica e il canto. Anche la testa mozzata, il giocattolo che l’adolescente Salome ottiene con la sua danza impudica, ci stava bene così; no, proprio non avrei voluto vedere la riproduzione precisa di una testa umana….o forse ha ragione J.M. ed è solo tutto merito del genio musicale di Richard Strauss

    • Terumi · 

      Ad ogni modo, almeno nell’ultimo cntmeomo non mi sembra di essermi incartato con le parole. Intendevo, in tal senso, ontologia come teoria della realte0. Il post, invece, associava l’ontologia all’esistenza. Mi sono accorto dell’errore grazie ai vostri commenti e spero adesso la cosa sia adesso pif9 leggibile. Ad ogni modo, l’ontologia (teoria della realte0) e8 afflitta da tutte quelle problematiche che affligono la scienza stessa come dici tu, quindi prima di tutto il rapporto tra sintassi e la semantica del linguaggio (ovvio che si utilizza un linguaggio. Si chiama OWL in ontologia applicata). Ma cif2 dal mio punto di vista non significa che il rapporto sintassi/semantica sia irrisolvibile. E’ solo problematico. Ne9 del resto condivido quanto asserisci:Il mio sospetto e8 che il risultato contraddittorio (quale a questo punto?) a cui ho accennato prima sia il frutto di una concezione tarskiana della verite0 che demanda ad una ipotetica scienza dell’ente di stabilire a cosa fanno riferimento i nostri enunciati A questo punto tu hai tirato ancora una volta in ballo la verite0 e dato che tu sospetti, allora mi chiedo in che senso, da parte tua, un enunciato possa dirsi vero. Considera quella storiella su Dio. Cosa alquanto bizzarra dato che la scienza in questione non puf2 comunque fare a meno di utilizzare un linguaggio, comunque il risultato finale e8 la ben nota distinzione tra sintassi e semantica, linguaggio e meta-linguaggio che ha fatto e fa penare tanta gente.Anche qui, non c’e8 nulla di bizzarro, perche9 non puf2 farsi a meno del linguaggio. Semplicemente, dal punto di vista dell’ontologia realista (dato che e8 questa di cui parlo), il linguaggio non altera la possibilite0 di pervenire all’oggetto e almeno per il momento le cose funzionano, sia dal punto di vista filosofico, che da quello ingegneristico (cfr. ). Altro aspetto che a me sembra degno di nota, ammesso che abbia capito veramente come funziona, e8 che su un piano prettamente epistemico questa soluzione ha una certa assonanza con certe teorie esterniste secondo le quali la verite0 e8 vincolata se non determinata da fattori sociali e/o cognitivi.Chiaro, qui stiamo parlando di verite0 , non di oggetti.Allego un file interessante: (penso che i primi quattro capitoli ti possano sembrare interessanti)

  • Jimmy Milanese · 

    Concordo Lucia, e con gran parte di quel che dici. per chiarire meglio il mio pensiero, quello che mi lascia perplesso di fronte a certe “attualizzazioni” di Opere liriche o teatrali, è la lettura semplicistica, ovvero il semplice trasporto di una partitura e di un libretto o testo teatrale nel tempo presente, come nel caso di gran parte delle opere liriche viste a Bolzano. Nel caso di Salomè, si prende il Bunga Bunga, si combinano vestiti di scena più o meno moderni e si mette una ciunga in bocca a un personaggio, poi si mette qualche scala, una fontanella, tanta plastica e il colpo finale del perdurare sul palco di una testa inzuppata di colore. Questo tipo di operazione non ha nulla a che fare con una lettura moderna ma informata dell’Opera di Strauss. Quello visto è’ un lavoro che possono fare tranquillamente dei ragazzi delle scuole superiori privi di grande competenza. In questo senso, nelle direzioni offerte dal Teatro Comunale di Bolzano emerge in modo del tutto evidente la mancanza di una approfondita conoscenza del significato storico-filosofico, nonchè psicologico di ciò che si vuole rappresentare. Quando mi sono confrontato con sudtirolesi che potevano annoverare almeno due o tre Salomè, due o tre Elektra tra le proprie esperienze teatrali, il giudizio su quanto ammirato a Bolzano peggiorava e di molto. Purtroppo, il pubblico bolzanino pare non essersi spinto frequentemente oltre Salorno. Quindi, privo di un metro di paragone, chiuso nel suo eremo etnico, si accontenta di queste direzioni elementari e kitch!

  • lucia munaro · 

    Beh, a vedere in rete certi video estratti da produzioni oltreconfine di enti teatrali ben più importanti di Bolzano (Opern Frankfurt, Deutsche Oper am Rhein) la trasposizione in tempi moderni è sicuramente più decisa, ma dove porta? in un appartamento borghese, con bunga-bunga privato oppure in una tragedia collettiva con cadaveri a profusione e immagini che richiamano incubi tipo Guantanamo o assassinii di stato. Uno può partire da Salome di Wilde-Strauss e vederci quello che vuole, nell’allestimento “da festival studentesco” di Schweigkofler ho trovata almeno rispettata la psicologia adolescenziale di Salome, le bramosie libertine di Herode, la purezza del profeta e anche nei cinque ebrei, ridotti a macchiette, ci ho visto non il popolo ebraico, ma i disquisitori del divino, quelli giustamente ridicolizzati. Poi gli altri personaggi erano un po’ defilati, il duetto iniziale tra Narraboth e il paggio avrebbe meritato forse più risalto. Anche le luci in parte da luna park si attenuavano, diventavano meno stridenti quando si sentiva la voce di Jochanaan, quindi un ragionamento, uno studio c’era eccome e anche molto puntuale in questa regia, se uno non si lasciava abbagliare dall’argento metallico un po’ rock della scena. Persino la scala, a chiocciola o meno, sulla destra è presente nel testo di Wilde, e gli specchi, e anche quella profusione di perle gigantesche che sembravano lune si richiamava alla descrizione di uno dei gioelli offerti a Salome da Herode purché rinunciasse alla testa del profeta come macabra ricompensa per la sua danza. Sì, lo spazio era in effetti molto ridotto, considerando che sul palco doveva starci anche l’orchestra di cento elementi. Seguendo il ragionamento della regia, si è scelto di riempirlo invece di svuotarlo, di esaltare il kitch per dare l’idea di una reggia/luogo dove domina la perversione. Devo ammettere che di solito a me piacciono le scenografie lineari, ma l’importante alla fine era altro e l’interpretazione dei cantanti nella prima serata (e più ancora nella prova generale) mi ha convinto, anzi, concordo con te, sono stati bravissimi

  • Jimmy Milanese · 

    Lucia, concordo con la tua analisi, anche quando viene allargata alle Salomè rappresentate in altri – ben più importanti – palcoscenici. A mio modo di vedere, viviamo una fase socioeconomicopolitica (passami il quasi neologismo macedonico) dove è abbastanza complesso “estrarre” qualcosa di culturalmente originale e stimolante al contempo. Speriamo in tempi migliori, altrimenti, che il passato ci conforti!

  • micio · 

    Non é assolutamente complesso estrarre qualcosa di culturalmente originale e stimolante, semmai, chi lo fa non ha seguito, perché il popolino preferisce le banalitá e le amenitá e quello é il bacin0 dove chi fa psaudo-cultura piglia consensi e denari. La storia die Salomé insegna… Pure voi di questa rivista siete sempre piá sciatti.

  • Kevin · 

    Una provocazione.Nell’introdurre la flacote0 del Giudizio nella terza critica, Kant ne giustifica la necessite0 in quanto dettata dalla natura “generale” delle leggi prescritte dalla flacote0 dell’Intelletto le quali, in quanto a priori, non sono in grado di garantire la determinazione della singola esperienza; le condizioni per ogni conoscenza possibile insomma, pur continuando ad essere considerate necessarie, non sono pif9 sufficienti -occorre un principio ordinatore, il giudizio riflettente per l’appunto, che oltre ad attestare che le cose ci sono e sono (quantomeno a livello noumenico) indipendenti da noi, ci dica anche cosa esse sono attribuendo attraverso le leggi empiriche del particolare un significato alla realte0 esterna. Il termine attribuire non e8 casuale; sicuramente conosci meglio di me le aporie che comportano le assunzioni ontologiche richieste perche9 una teoria fornisca efficaci descrizioni veridico/funzionali, quasi come se lo scienziato decidesse come vanno le cose – e da questo punto di vista si puf2 ammettere che certi enti propri delle teorie scientifiche non sono tanto dissimili dagli enti presenti nelle narrazioni cosmogoniche che, in epoche pif9 distanti, consentivano ai sacerdoti di predire con esattezza un’eclissi utilizzando un vocabolario che oggi verrebbe tacciato come mitologico”.Quello che mi e ti domando insomma e8 se l’ontologia possa fare davvero a meno di un compito valutativo quando qualsiasi impegno nei confronti del mondo esterno,se non o giusto o sbagliato, non puf2 comunque esimersi dall’essere o vero o falso.