Salomè in Salopette!

Una volta all’anno il professore di latino ci invitava a portare i nostri videogiochi in classe. Quel giorno i banchi si riempivano di rudimentali aggeggi elettronici dalle forme e dai colori più strani. Noi ragazzi rimanevamo incollati a quei piccoli schermi e in quel momento, anche se stava per iniziare la pausa, anche se stava per suonare la campanella della fine della scuola, nessuno se ne accorgeva. I suoni sprigionati da quegli oggetti di plastica deformata coprivano il tintinnio della campanella e rapivano le nostre giovani anime in un mondo che sempre più diventava articolato. I codici di quel cosmo prevedevano la conquista di armi sempre più potenti, la distruzione di ogni anima che si frapponeva al cammino trionfale dei nostri guerrieri dai nomi impronunciabili. Quel giorno, mentre noi ragazzi facevamo fuori più o meno tutta la popolazione del nostro pianeta, le ragazze si radunavano in disparte. Rimanevano sedute l’una accanto all’altra e discutevano, preferibilmente contemporaneamente e di argomenti più segreti della formula della Coca Cola. Si scambiavano regali miniaturizzati, ammiravano i loro vestiti e ignoravano completamente quel nugolo di maschiacci invischiato nel gioco della guerra. Quel giorno, se in quella classe fosse sceso un extraterrestre, gli sarebbe stato assai facile dividere il regno dell’uomo in due mondi: quello occupato dal genere maschile, propenso alla guerra e in cerca del dominio assoluto; quello del genere femminile, pacifico e orientato alla cura del proprio apparire.
Chissà perché, esattamente questo mi girava per la testa, l’altro ieri sera, mentre sprofondavo nella poltrona, giusto a un paio di metri da Salomè: una ragazzina che il Vangelo di Marco e Matteo descrive capace di farsi servire su un piatto d’argento la testa di Giovanni Battista, reo di averla rifiutata. Una giovane principessa capace di un uso spudorato del suo fascino e del suo corpo.
Il racconto evangelico portato in scena da Strauss voleva essere un avvertimento contro i rapporti adulterini, assai frequenti all’epoca. Infatti, narrano le Sacre Scritture, la madre di Salomè aveva accettato di unirsi in unione con Erode, il fratello del marito deceduto. Salomè, giovane e bella, si ritrovava così ad avere un patrigno ricco e spietato, nonché irresistibilmente attratto dalla nipote. Salomè, il cui fascino era noto e accresceva di giorno in giorno, si sentiva turbata dalla invettive che provenivano da una prigione nella quale era stato precedentemente rinchiuso il profeta Giovanni Battista. Egli era a dir poco venerato in tutta la giudea, per via della sua profonda vicinanza al Regno dei Cieli. La sua condanna verso quella relazione demoniaca susciterà in Salomè uno stato di profonda eccitazione erotica, tanto da spingerla a desiderare il nudo corpo del profeta. Il suo rifiuto verso una unione con la figlia del peccato provocherà la violenta reazione di Salomè che, tramando assieme alla madre Erodiade, si farà consegnare la testa del profeta, promessa dal patrigno in cambio di una danza erotica.
Nella storia dell’umanità, quei Testi Sacri hanno complicato parecchio la vita sociale. Il concetto del Male opposto a quello del Bene si è insinuato nel DNA della civiltà occidentale, trasformandola in schiava di Dionigi, meglio noto per essere stato colui il quale sospese sopra la testa di Damocle l’omonima spada. In Salomè, celeberrima Opera di Richard Strauss, ispirata a un poema di Oscar Wilde, la tensione tra Bene e Male è ben incastonata in ogni minima azione umana. La visione evangelica, consolatoria perché capace di dividere la buona dalla cattiva strada, è totalmente annullata dalla reazione inimmaginabile di Salomè che, prima vittima, diventa carnefice per l’impellente necessità di soddisfare le sue improvvise passioni amorose. Per l’uomo descritto da Strauss non esiste la possibilità “cristiana” di sistemarsi dalla parte del torto o della ragione. Le categorie del Nero e del Bianco sono bandite e non appartengono ne a Salomè, ne a Erode, ne a Erodiade: tutti sono complici in quel progetto che porta l’uomo, prima o poi, a compiere un atto contrario alla volontà del suo prossimo.
Quindi, quella classe sopra menzionata, divisa in guerrafondai ed estete della bellezza, sembra non avere proprio nulla a che fare con la profonda natura dell’uomo, descritta da Strauss nella sua complessa, intersecata da innumerevoli fattori ed ineffabile per definizione. Il passaggio dall’infanzia all’età adulta è anche un processo di appropriazione delle caratteristiche della personalità del sesso latente, fino al momento in cui, raggiunta una età avanzata, il nostro corpo piomba in uno stato di senilità asessuata che tanto ha in comune col mondo infantile. In questo periodo si consuma il mistero dell’Amore che Erode comprende essere ancor più intangibile rispetto a quello della morte.
Il destino progressivo della nostra specie corre quindi nella direzione della a-sessualizzazione della società; la confusione tra il ruolo di padre e quello di madre, l’accesso femminile ad occupazioni tipicamente occupate dal maschio che, se una volta era dominante, ora subisce inevitabilmente e fatalmente il cambiamento sociale. In Salomè il tema della promiscuità è portato fino alle estreme conseguenza, tanto che i personaggi appaiono quasi come privi di una possibile connotazione di genere. Salomè è la giovane vittima di un scelta scellerata da parte della madre, la quale sceglie il benessere personale e ripudia la moralità. Sarà proprio il richiamo a quella moralità cristiana ad affascinare fino alla follia la giovane Salomè, che addomesticherà quelle voci di condanna, ritrovandosi innamorata del suo autore. In questo gioco perverso si fondono, confondono e rifondono le caratteristiche psicologiche tipiche delle due identità di genere.
Detto questo, rimane ben poco fiato per parlare della nuova produzione del Teatro Comunale di Bolzano. Il genio creativo di Strauss sembra avere partorito un’Opera indistruttibile, proprio perché immanente rispetto allo scorrere del tempo. Indistruttibile rispetto a qualsiasi forma di vilipendio da parte dell’uomo, proprio perché esattamente di vilipendio alle convenzioni sociali si occupa.
In quella struttura musicale, in quelle arie capaci di evocare le situazioni sopra descritte, in quella tensione che tramuta un momento di altissimo erotismo in un epilogo macabro, c’è l’essenza della natura umana: la sua capacità di estrarre polvere da sparo dal seme di una rosa. Poco importa se un acuto è uscito male, se l’impianto scenografico è più o meno gradevole; pochissimo gioverebbe dubitare dell’efficacia di quella sovradimensionata scala a chiocciola, avvitata inutilmente su se stessa; nessun significato avrebbe mettere in discussione costumi di scena poco comprensibili e finiti dentro a una orribile botola infarcita di bolle di sapone. Che senso avrebbe spiegare a chi quella sera era in altro luogo, che il popolo ebraico è difficilmente riducibile allo spazio di cinque macchiette totalmente prive di spessore umano? Sarei in forte imbarazzo anche se dovessi descrivere la mitica danza dei sette veli, dove Salomè dovrebbe agire in un palcoscenico totalmente affascinato dal suo eros, non certo preoccuparsi di schivare soppalchi, travi, sedie, scale e quant’altro, mentre altri sono inenti a gesti di “quasi” autoerotismo.
Infine, se testa mozzata deve essere, che si veda bene o che non si veda proprio, perché non è certo una palla di cartone imbevuta di sugo di pomodoro a far drammatica una decapitazione. Ad ogni modo, se è vero che Salomè debba essere un’Opera dalle forti dissonanze, basata proprio sulla forte contrapposizione tra paganesimo e cristianesimo, allora nulla può essere eccepito alla produzione del Teatro Comunale di Bolzano. Se l’idea dichiarata dagli autori era quella di creare una Salomè attualizzata, moralizzatrice nei confronti di una società allo sfascio e schiava del denaro, del sesso e dal potere, allora il tentativo sembra fallito per deficit di analisi storicosociale. L´intento rimane confnato nel libretto di sala. In altre parole, anche se il tutto sembra non reggere le premesse epistemologiche, ancora una volta, la musica ha il potere, anzi, direi, il fascino, di salvare capre e cavoli e restituire la koinè di quei momenti biblici.
Per concludere, menzione speciale per le voci che hanno riempito la confusione sul palcoscenico. Bravissimi tutti: la Salomè di Cristina Baggio, affascinante, erotica e brava a portare lo spettatore su quella lama insanguinata del rasoio; l’Erode di uno stratosferico Scott MacAllister, che per capacità recitative ha riportato in vita Peter Ustinov di Quo Vadis; il Giovanni Battista di Samuel Youn, perfetto nella parte del profeta; l’Erodiade di Anna Maria Chiuri, sacrificata dalla regia ma applaudita dal pubblico, e tutti gli altri.