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January 23, 2012

People I Know. Michele Orlandi: un duro dal cuore tenero

Anna Quinz

Dalla metafisica dei tubi, ai mondi paralleli dei videogames, passando per le note graffianti di un basso. Così potrebbe essere descritta, in tre mosse, la storia di Michele “Mike” Orlandi, 37 bolzanino, titolare (insieme a Saverio) del negozio di videogiochi Save Games, e bassista della band The Little White Bunny. Dopo 10 anni di vita da idraulico, trascorsi un po’ in provincia e un po’ in giro per l’Italia, Michele ha deciso di andare a lavorare all’estero trascorrendo un anno ad Amburgo dove ha avuto la possibilità di migliorare il suo tedesco, per poi tornare a casa, a Bolzano. Qui, in breve tempo, è diventato responsabile di uno show room di impianti termosanitari, e così “se prima costruivo piscine e centrali del teleriscaldamento e/o montavo bagni poi li progettavo e li arredavo seguendo i gusti dei clienti e consigliandoli al meglio”. Poi, il grande salto e la voglia di costruire qualcosa di suo. Parte (o meglio riparte) così l’avventura Save Games, storico negozio di videogames bolzanino che cambia sede, si sposta ai limitari del centro per diventare la nuova “casa” di Michele. E poi la musica, i “conigli bianchi”, i premi, le tournee. Chi lo ha visto sul palco conosce l’energia e la carica esplosiva, chi lo incontra in negozio conosce la gentilezza e la disponibilità (e il suo amato cane, Gioi, che lo accompagna ovunque, anche sul posto di lavoro). Un duro (per chi non li conosce, i The Little White Bunny, suonano musica dai toni piuttosto forti e incisivi, con originalità e carisma, cosa che li ha trasformati in una delle band più accreditate del territorio) dal cuore tenero, Mike, che alto e imponente, completamente rasato e con un pizzetto davvero sorprendente, conquista tutti con un sorriso, una battuta, una risata. Perché forse la vita non è un videogames, ma va comunque presa con un po’ di leggerezza.

La sua prima passione? In termini temporali, la prima di bambino, e in termini di importanza, la prima passione di oggi?

Da bambino sicuramente il calcio, passione trasmessa dai miei fratelli più grandi, per poi mutare nei videogiochi e successivamente nella musica. Attualmente i miei interessi primari sono, in ordine di importanza (difficilissimo): viaggiare, la musica dal vivo e non, il mio cane, la tecnologia in generale, i videogames, leggere, guardare film e, poi, retaggio dell’infanzia, il Milan…

Sul sito del vostro negozio si legge: “Più che un lavoro una missione”…

Significa che a noi piace consigliare il videogioco solo se lo abbiamo provato personalmente e non vendere per svuotare il magazzino. E poi che comunque facciamo questo lavoro più per passione che per altro, anche se con la passione, ahimè, non si mangia.

Io non conosco il mondo dei videogames, ma so che sono un intrattenimento molto amato. Cosa mi direbbe per convincermi a giocare?

Proverei a dirle che un videogioco è un “oggetto” più elaborato e costoso, in fase di produzione, di un film. Ma se guardare un film è un intrattenimento “passivo”, nel gioco nel film si può entrare, e giocarlo, divenendo protagonisti nelle scelte e nella vita del personaggio. Spesso i videogiochi hanno copioni da cui nascono i film ma questi, una volta trasferiti sullo schermo permettono di interagire e divertire non solo “guardando”.

Come mai così tante persone si appassionano ai giochi di guerra, secondo lei?

In realtà si tratta in fondo di giochi di abilità, tutti i maschietti da bambini giocano alla guerra o a distruggere le macchinine. Tutto sta nel colpire un bersaglio prima di altri. Non c’è nessuna istigazione alla violenza, insomma. Solo spirito competitivo e voglia di mettere alla prova le proprie capacità.

Se potesse inventare un gioco ambientato in Alto Adige, come lo costruirebbe?

Essendo terra di confine, vedrei bene un gioco strategico con più fazioni (romani, reti o barbari): se uno sceglie i romani, per esempio, potrebbe impersonare Druso che deve andare alla conquista della Retia conducendo le truppe, costruendo avamposti, difendendoli dalle fazioni nemiche e civilizzando la terra, per arrivare poi ai giorni nostri con una storia dell’Alto Adige alternativa.

Accanto al videogames, la passione per la musica. Con la sua band, i The Little White Bunny, ha già calcato molti palchi fuori dall’Alto Adige, cosa avete trovato che qui non c’è, e viceversa?

Premetto che i “piccoli conigli bianchi” sono gli amici più cari che ho, sono ragazzi unici a cui voglio bene. Nei tour che abbiamo fatto, abbiamo semplicemente trovato più interesse verso la musica dal vivo. In molti posti si va ad ascoltare una band anche se non la si è mai sentita, mentre da noi spesso la gente preferisce bere una (la solita) birra al bar e lasciare le sale vuote ai musicisti che si ritrovano a suonare sempre davanti al solito pubblico. Manca interesse per la musica dal vivo, perché i concerti, in realtà, ci sono. Di positivo c’è però che la percentuale di band che suonano a Bolzano (e in Alto Adige) è altissima, e onestamente anche la qualità è piuttosto alta. Dovremmo riuscire a “esportare” le nostre idee musicali fuori dal tunnel tra Verona e Innsbruck in cui viviamo. E in cui troppo spesso finiamo per stagnare.

Pubblicato su “Corriere dell’Alto Adige” del 15 gennaio 2012

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