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January 17, 2012

People I know. Matias Sagaria, da Bolzano alla grande mela

Anna Quinz

Matias Sagaria è un “ragazzino” di 31 anni che insegue il suo sogno. E poi, casualmente, è anche un architetto. Nato a Bolzano, laureato a Parma, per due anni ha lavorato tra l’Alto Adige e l’Emilia facendo in tempo, parole sue, a stufarsi della tendenza tutta italiana a sfruttare senza insegnare. Quindi ha deciso di scommettere su se stesso e di attraversare il mare. E così è partito, una piovosa mattina di gennaio di quattro anni fa, con tre amici/colleghi, con tanti sogni e pochissime certezze. Da allora vive nella città dei sogni di molti: New York. Qui lavora per Tonychi and associates, pluripremiato studio di interior Architecture specializzato in Hospitality Design. Per lo studio, ha progettato e attualmente coordina, tra New York e la Cina, la realizzazione del Mandarin Oriental Guangzhou, ultimo Luxury Hotel della prestigiosa catena internazionale. Nel tempo che rimane, seppur poco, è Creative Director del Luzzo’s Group, importante gruppo di ristorazione newyorkese per il quale ha progettato nel quartiere di Chelsea il ristorante “Ovest” e per il quale segue e coordina le nuove aperture. Ma soprattutto, Matias è orgoglioso fondatore insieme a quattro amici, tre dei quali sono quelli partiti con lui quella piovosa mattina di gennaio, del collettivo multidisciplinare Jedidesign, con il quale lavora a progetti in ambiti diversi: architettura, grafica e web design, tra Italia e Stati Uniti. Una vita newyorkese insomma, pieni di impegni e di sogni costruiti e da costruire, guardando anche, perché no, al vecchio continente e alla vecchia città di origine. Intraprendente e instancabile, Matias è anche appassionato di fotografia, ma non solo, perché, dice di sé, “come in fondo tutti gli architetti, sono un po’ anche tante altre cose”.

Cosa l’ha portata oltre oceano? 

La voglia di scappare da una società che non mi rappresenta, Il bisogno di ritagliarmi il mio spazio nel mondo, il cocente desiderio di meritocrazia, New York e tutto ciò che questa città significa e rappresenta. E un po’ di sana incoscienza.

Per molti New York è una città quasi “mitologica”, l’ombelico del mondo, il posto migliore in cui sperare di vivere. Ma per lei che ci vive da anni, cosa e come è la Grande Mela?

New York è una città assoluta. Nel bene e nel male. È un concentrato scintillante di energia multietnica e multidisciplinare. È un agglomerato di vite che si sfiorano. È una rampa di lancio. Un luogo di transito. È un angolo di mondo che appartiene a tutti e a nessuno allo stesso modo. Una realtà, forse l’ultima, in cui “cosa sai fare”è ancora più importante di “chi sei”. Ma è anche una metropoli gotica e decadente che amplifica ogni sensazione. A New York la felicità è scintillante e la solitudine è di un nero che annienta. Qui tutto viaggia a velocità doppia, e se non si riesce a stare al passo… lei non rallenta per aspettarti. È una sfida costante, che crea dipendenza.

C’è un romanzo dell’autore americano John Dos Passos dal titolo “Manhattan Transfer”. Una delle frasi più celebri del libro cattura l’essenza di questa metropoli: “Ciò che c’è di più tremendo a New York è che quando ne avete fin sopra i capelli, non sapete più in quale altro posto andare. È il tetto del mondo. La sola cosa che ci rimane è girare e girare come lo scoiattolo in gabbia”.

Una sua giornata tipo?

Sveglia ore sette e mezza per il tentativo, il più delle volte abortito, di fare una salutare corsetta mattutina. Quindi doccia, iPod e bicicletta fino in ufficio. Io lavoro a SoHo, (Lower Manhattan) e vivo a Williamsburg (Brooklyn). Percorrenza netta 16 min, compreso di ponte. La giornata lavorativa la posso gestire come preferisco, non ho orari imposti o cartellini da timbrare ma solo scadenze progettuali da rispettare. Solitamente sono in ufficio dalle nove di mattina alle nove di sera.

Una volta fuori, quando non ho impegni di lavoro, libero la mente e mi dedico alle cose che mi appassionano. Fotografia e musica su tutte. La vita notturna nella città che per definizione non dorme mai è fatta di mille piccoli locali nascosti che mi piace scoprire vagando senza una destinazione premeditata. O almeno, questa è la vita notturna che io prediligo.

Cosa di New York porterebbe a Bolzano, e viceversa?

Da Bolzano esporterei i silenzi notturni. Quelli che una volta mi sembravano noiosi e infiniti vuoti ma che ricordati da qui profumano di pace e serenità. Di New York importerei il coraggio e la forza incondizionata di credere ciecamente nel talento e nelle idee.

Lei è architetto, potendo, quali migliorie architettoniche (ma non solo) apporterebbe a Bolzano?

A me Bolzano piace. Trovo che nel suo essere piccola realtà provinciale sia un esempio di avanguardia. Culturale e sociale. Architettonicamente poche altre realtà italiane vivono una declinazione così armonica di tradizione e modernità.

Progetti per il futuro?

Vorrei arrivare a coniugare insieme passione, amicizia e lavoro. Vorrei avere la possibilità di dimostrare, anche a casa mia e non solo dall’altra parte dell’oceano che sono bravo a fare quello che faccio. E poi, cercare di essere davvero felice almeno 10 secondi al giorno.

 

Pubblicato su “Corriere dell’Alto Adige” dell’8 gennaio 2012

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