Culture + Arts > Performing Arts

January 17, 2012

Fumare pecore, fa bene alla mente e allo spirito. E anche al cuore

Anna Quinz

Rileggo spesso i libri che amo, rivedo i film (anche a causa di scarse prestazioni in termini di memoria), ma raramente mi capita di rivedere, o voler rivedere, uno spettacolo a teatro. Quando però la settimana scorsa ho scoperto che a Trento tornava “Le fumatrici di pecore” della compagnia roveretana Abbondanza-Bertoni, mi sono detta che questo piccolo gioiello dell’arte performativa volevo davvero rivederlo (l’avevo visto la stagione scorsa a Bolzano, all’interno della rassegna L’arte della diversità, organizzata da Antonio Viganò), e riviverlo. Così mi sono spostata a Trento, nel piccolo teatro Cuminetti, e mi sono fatta riavvolgere per la seconda volta da questo spettacolo che – come alla prima – mi ha fatto ridere, piangere e partecipare completamente. Due donne, sulla scena quasi nuda, Antonella (Bertoni) e Patrizia (Birolo, performer “diversamente abile” o come dice la Bertoni, “portatrice sana di una diversa abilità”), intrecciano le loro storie, le loro paure, le loro sicurezze, in uno spettacolo che in equilibrio costante e perfetto, passa dall’ironia alla forza più dirompente, lasciando dal primo all’ultimo minuto il pubblico senza parole e pieno di brividi. Io (ma tante cose si possono leggere e vedere in questa piéce) ci ho visto l’essere donna di Antonella e di Patrizia, che tra loro – attraverso parola e gesto, ma anche tanti intensissimi sguardi – dialogano, creano relazioni e continui scambi di posizione e di ruolo, si confrontano e si intersecano. E poi l’essere donna di tutte le donne: la fragilità e la forza, la dolcezza e la grazia, l’abnegazione e la potenza, la bellezza e il sacrificio, l’ironia e la decisione, il coraggio e la delicatezza…
Due donne, dunque, ma anche due superfici sgombre su cui costruire via via un discorso denso di significati, di simbolismi, senza mai cadere però né nell’intellettualismo né nella banalità. Equilibri perfetti si diceva, tra musica e danza, tra recitazione e improvvisazione, tra messaggi lanciati e messaggi raccolti.  Che il pubblico coglie portandosi sulla pelle, la pelle d’oca, sulle labbra un sorriso che sfocia in risate in alcuni momenti davvero esilaranti, sugli occhi qualche lacrima lì lì pronta a fare capolino quando l’intensità dello spettacolo si fa davvero travolgente. Antonella e Patrizia sono lì per noi, ma sono anche lì per se stesse, per abbracciarsi e parlarsi, per darsi supporto vicendevole e per commuoversi e stupirsi delle cose della vita. Fumano pecore, Antonella e Patrizia, sono pecore (nere), Antonella e Patrizia? Chi lo sa, sta di fatto che fin dal primo minuto con Antonella e Patrizia si entra in relazione, dentro di sé le si chiama per nome, come se fossero vecchie amiche, e alla fine, quando in un incredibile momento finale (che porta ad apprezzare perfino una canzone di Tiziano Ferro cantata a squarciagola), Patrizia prima e Antonella poi, scendono tra il pubblico a stringere la mano a (quasi) tutti, questo pare un gesto necessario, indispensabile per siglare il contatto avvenuto, tra noi, quaggiù, e loro, lassù.

 

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