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January 5, 2012

J. Edgar Hoover: anche i potenti, a volte, balbettano!

Jimmy Milanese

VOTO: 7/8

Il procuratore Garrison che indagò sull’omicidio di JFK era veramente così sprovveduto e spaesato come appare Kevin Kostner nella ricostruzione storica di Oliver Stone? Gandhi assomigliava veramente a quel personaggio rude e introspettivo magistralmente interpretato da Ben Kingsley? Giulio Cesare era veramente una specie di tiranno con inclinazione da gangster simile a Louis Calhern nell’omonimo film storico di Joseph Mankiewicz?

Quando pensiamo alla Cina Imperiale o alla Roma antica la prima immagine che appare nella nostra  mente non è certo un lontano ricordo scolastico, piuttosto, il riferimento va a L’ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci e Ben Hur di William Wyler. Questi sono tanto capolavori del cinema quanto documenti storici importanti per via della meticolosa ricostruzione della società di allora. Purtroppo, le cose non vanno sempre così bene.

Infatti, il rischio dei film dal soggetto storico è quello di formare opinioni approssimative o errate su personaggi e avvenimenti importanti della storia. Oltre ai capolavori già citati, la storia del cinema è piena zeppa di ricostruzioni al limite del grottesco, giganti ridotti a macchiette di se stesi, dittatori spietati ingentiliti dal fascino dei loro interpreti o scenografie che nulla hanno a che fare con la società rappresentata. Il c.d. Revisionismo o Relativismo storico spesso si nutre di quel Cinema!

Per questi motivi, J. Edgar è una pellicola complessa da commentare e presentare. Bisogna scegliere se ragionare sull’attendibilità delle vicende storiche narrate – data l’importanza di J. Edgar Hoover nella storia recente americana – oppure andare oltre al soggetto, apprezzarne la trama e le vicende umane. Scelgo di rimanere nel Cinema e non tuffarmi nella Storia che non mastico a sufficienza, sicuro che, nonostante le stroncature americane, questo film rimarrà nella Storia del Cinema.

Quindi, dal punto di vista cinematografico, Eastwood è stato sicuramente all’altezza di se stesso, anche perché sostenuto da uno staff tecnico di rara bravura. Con Changeling e Lettere da Iwo Jima, l’ormai ex cowboy ha calato importanti vicende umane nella grande Storia, e lo ha fatto in modo impeccabile, imparziale e lontano da qualsiasi banalizzazione. Qui doveva dirigere Leonardo di Caprio alla disperata ricerca (e si vede) di uscire da quella nave che piano piano affonda mentre l’orchestra suona. In J. Edgar la musica è ben altra – tra l’altro, composta personalmente da Eastwood-, infatti, il periodo e il personaggio storico richiedono un impegno più profondo. L’amore che sul Titanic era per una giovane ragazza, qui è tutto concentrato sul lavoro e nei confronti di una onnipresente madre. Hoover, ovvero colui che – si mormorava – conosceva per filo e per segno le abitudini sessuali degli otto presidenti degli Stati Uniti per i quali ininterrottamente e per 48 anni ha lavorato ai vertici dell’FBI, aveva una madre (nel film interpretata da Judy Dench) dispotica ed autoritaria che il povero Edgar venerava al limite dell’idolatria!

L’America di Hoover, a cavallo della seconda guerra mondiale è resa alla perfezione e la fotografia un poco retrò affascina l’occhio per tutti gli infiniti 137 minuti del film. Non convince moltissimo lo sdoppiamento tra l’uomo affamato di potere al punto di abusarne e il ragazzo balbuziente succube della madre. Due binari paralleli che non s’intersecano quasi mai! A pensarci bene, J. Edgar è un film a due puntate montate parallelamente. Da una parte, c’è un uomo che grazie al suo ingegno diventa ricco e potente al punto da rimanere intrappolato nel personaggio che si è costruito tutt’attorno. Dall’altra, lo stesso uomo è una persona timida e fragile, al limite dell’omosessualità e incapace di amare.

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