Music

December 7, 2011

Atmosfera sonnolenta, per una Haydn un po’ pigra

Emanuele Zottino

Abbiamo ascoltato, lo scorso martedì 6 dicembre a Bolzano, l’Orchestra Haydn alle prese con un compositore poco noto, lo spagnolo Juan Crisóstomo de Arriaga, guidata dal direttore Jesús López-Cobos, anche lui spagnolo e già collaboratore della compagine regionale. E diciamo pure che un programma originale è sempre benvenuto: l’ouverture “Los esclavos felices: Ouverture” e la Sinfonia in re maggiore.

Ma diciamo anche che l’operazione di portare alla luce cose sepolte, di proporre al pubblico del 2000 rarità sperdute del 1800, ha senso solo se ne vale la pena. Solo cioè se l’opera in questione merita, per uno o più aspetti, l’attenzione del pubblico. Altrimenti è come uno scoop senza notizia, un regalo impacchettato bene e dentro vuoto. I pezzi del compositore de Arriaga, morto nel 1826 a soli 19 anni, non possono suscitare grande interesse solo perché collegati alla dolce e triste vicenda biografica del musicista. Probabilmente sono degni di entusiasmo i suoi quartetti per archi, ma non i lavori sinfonici presentati l’altra sera da Jesús López-Cobos. Lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo: un interprete dovrebbe essere anche responsabile della scelta del programma, e risponderne.

Anche la Haydn non è, forse di conseguenza, stata all’altezza, con una sezione archi svogliata e lenta, mentre una sezione fiati, soprattutto i legni, sempre presenti e reattivi. Il pubblico, meno numeroso del solito, ha ribadito il clima di sonnolenza, rispondendo freddamente alla fine della prima parte.

Dopo l’intervallo ci si riprende con l’esecuzione della Sinfonietta di Francis Poulenc, che costringe direttore e musicisti ad una più attenta immersione nel senso dei lavori presentati.

Melodie molto neoclassiche, un uso affascinante dei timbri, commistioni varie di stili e stilemi, hanno costretto chi stava sul palco a governare meglio l’atmosfera. E ci è sembrato tutto sommato convincente il tocco della Haydn, anche se l’orchestra – ma non è un problema che riguarda solo la nostra di orchestra – fatica ad abbandonare gli atteggiamenti romantici, tardoromantici e postromantici, e si dimostra pigra e restia ad abbracciare nuovi modi di fare. Possiamo dire che i francesismi di Poulenc erano belli e ce li siamo goduti, ma potevano essere ancora più francesi. Del resto, quello della interpretazione di pagine del Novecento, è un viaggio che necessità di tempo, e che va intrapreso se si affinano sensibilità, se si stimolano certe curiosità. Siamo fiduciosi.

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