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November 16, 2011

Ritorno si… ma a qualcosa che non c’era

Jimmy Milanese

La sfida per la commedia teatrale moderna è decisamente ardua. In perenne – si fa per dire – lotta contro Beckett, Miller o Goldoni, il rischio è di ripercorrere strade già battute, suscitando nel pubblico un senso di nostalgia per i classici. Per sfuggire a questo rischio, la ricerca di una personalità autonoma rispetto al “già detto” e “già fatto” diventa affare alquanto complicato.

“Il ritorno” di Carlotta Clerici, commedia teatrale presentata in prima nazionale al Teatro Stabile di Bolzano, più che raccontare in modo scanzonato una allegra rimpatriata tra amici nei luoghi della loro infanzia, guazzabuglia attorno alla materia dell’amicizia senza mai centrare uno dei tanti temi trattati. Questa storia di amori mai del tutto consumati o lasciati per troppo tempo a fermentare, amicizie tenute assieme da motivi speculativi e nostalgia per un passato rinchiuso nei ricordi, stenta a decollare e rimane piuttosto in superficie rispetto a un soggetto abbastanza investigato dalla drammaturgia: crisi di personalità e conseguente ritorno a un passato che non esiste più, attraverso la visita ai luoghi di una giovinezza ormai lontana nel tempo. Non viene trasmessa ne l’emozione del ritorno ne la riflessione sulle illusioni cadute in disgrazia nel corso di quei lunghi 15 anni in cui i protagonisti si sono persi di vista.

Solo nel titolo e nella struttura drammaturgica è evocato questo ritorno, mal supportato da dialoghi apparsi scontati e privi del necessario bagaglio emotivo, interpretati da attori approssimativi e spesso fuori ruolo. Infatti, al centro dovrebbe esserci la sofferenza più o meno collettiva per un presente che ha deluso le aspettative di un gruppo di giovani ragazzi, una volta felici e pieni di speranze. Anna (Sara Bertelà), attrice in disarmo, ritorna all’Hotel Du Lac (di Bellagio?), dove rincontra Matthieu (Roberto Zibetti), suo vecchio amore mai dichiarato, Nathalie (Giovanna Rossi), la sua amica d’infanzia, Yann (Corrado d’Elia), proprietario dell’Hotel ormai ridotto sul lastrico dai debiti, un paio di altri amici e la signora Richard (Aide Aste), fedele e ormai rimbambita ospite storica dell’Hotel. Invece, quello che emerge da questa storia infarcita di turpiloquio è la sola nostalgia per il lago (di Como?) e il richiamo continuo ed eccessivo alle sue bellezze panoramiche come metafora di una vita vissuta senza reali gratificazioni. All’ennesimo richiamo alla bellezza paesaggistica del lago, il pubblico mormora infastidito.

Tutto procede in modo stentato, tra battute alle quali nessuno fa caso, dialoghi incapaci di imprimere ritmo a questo “ritorno”, frequenti quanto inutili cambi di scena e ripetute entrate burrascose di attori mai abili ad estrarre qualcosa di interessante dai personaggi.
Anna, la protagonista, non subisce alcuna trasformazione nel corso delle circa due ore passate sul palco, in ginocchio, sdraiata sotto il sole, in ammirazione di un lago che proprio non riusciamo ad immaginare. Matthieu è un Roberto Zibetti imbarazzante, rimasto al personaggio di Boris in “Radiofreccia” di Ligabue, dal quale la Clerici travasa un frammento del famoso “Credo” di Freccia. La signora Richard dovrebbe scatenare qualche risata, per via della sua memorabile smemoratezza, ma in realtà ottiene l’effetto di risultare poco più di una macchietta, del tutto marginale rispetto alle vicende narrate. Si comprende fin dall’inizio il motivo della sua presenza che qui non anticipiamo. La barca è tenuta in piedi da Yann, nonostante non si capisca bene il motivo della sua depressione e delle sue sventure finanziarie. Corrado d’Elia trascina faticosamente un cast poco coeso, fino al suo prevedibilissimo e scontato suicidio, al quale assistono inermi sia i suoi amici più cari sia gli sbigottiti spettatori che hanno riempito il Teatro Studio. Anche la scelta del nome dell’Hotel deprime il potenziale evocativo di questa storia. Non riusciamo ad immaginare come un gruppo di ragazzi possa avere passato la propria infanzia in un Hotel Du Lac, e se ciò è accaduto, allora le loro vicende andavano argomentate in modo più convincente, non certo buttando qua e la, ad esempio il ricordo di una moto caduta nel lago e poi recuperata. Gli attori di contorno si distinguono per il loro continuo ricorso ai vari “cazzo”, “stronzo” e “puttana”; termini che avrebbero bisogno di ben altro contesto narrativo per valere il fastidio dell’ascolto. Risulta assai complicato comprendere i motivi di questo ritorno a bomba collettivo e da luoghi sparsi in giro per il mondo, se poi alla fine tutti questi ritorni non trovano una motivazione realmente convincente.
Insomma, sembra proprio che questa commedia nasca più per la voglia di essere messa in scena che per l’impellenza di raccontare qualcosa di urgente, e i risultati si vedono tutti. Pure la commedia nella commedia, alla quale Anna rinuncia liquidando i suoi soci non si capisce bene per quale motivo, ritornando a vivere nella sua antica alcova con un uomo che fino a due secondi prima non sembrava rappresentarle nulla, appare uno stentato artificio per chiudere il cerchio, più che il frutto di una ragionata scelta drammaturgica. Infine, discutibile la scelta delle musiche dei Nirvana a supportare un processo di decadenza che rimane confinato nel limbo delle intenzioni.

Graziosa la scenografia, anche se più che aiutare il percorso narrativo, sembra ostacolarlo. Tutto si svolge nel giardino dell’Hotel antistante al lago. Dovrebbe essere un luogo spoglio, in decadenza perché gravato da debiti, in attesa di smobilitazione, pieno di ricordi. Invece, le sembianze sono quelle di un Hotel moderno, sgargiante, curatissimo nei particolari, appena rimodernato, distante da quello che dovrebbe rappresentare, quanto questo “Ritorno” da quei classici ai quali goffamente sembra volersi ispirare.

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