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November 12, 2011

People I Know. Jacopo Coen: “Bolzano si apra agli studenti”

Anna Quinz

Per tutti coloro che hanno trascorso i loro anni universitari in una di quelle città che assomigliano a parchi a tema per studenti, pensare di studiare a Bolzano può sembrare strano. Qui l’ateneo è ancora giovane, e forse non è ancora riuscito a penetrare  davvero nel tessuto della città, gli studenti ci sono, ma non sempre si vedono, e anzi, spesso ci si chiede “Cosa fanno?”. Jacopo Coen ha prima di tutto un nome che fa presagire qualcosa di buono e grande. Poi ha una faccia di quelle che fanno sentire a casa, un sorriso schietto e pulito, capelli un po’ selvaggi, un buon numero di orecchini, una voce che ride e la battuta sempre pronta.

Viene dal profondo sud italico, da Foggia, e a Bolzano è uno studente della Facoltà di Design e Arti della Libera Università. Dalla Puglia all’Alto Adige, un salto culturale non indifferente, ma Jacopo, che sa il tedesco perché ha vissuto a Berlino, qui ci sta bene ed è uno di quelli che fanno fruttare i propri 21 anni di età, per guardare non solo al futuro, ma anche al presente, che per ora è Bolzano. Così si fa domande, fa cose, è attivo e operativo e pur sapendo di non essere a Bologna, trova i modi per poter dire, in un domani non lontano, in cui da qui partirà, che la sua carriera universitaria l’ha vissuta a Bolzano, ed era un bel vivere.

Da Foggia a Bolzano, un viaggio lungo e insolito…

Ero indeciso tra due università, quella di Bolzano e il Politecnico di Milano. Nell’ateneo milanese però l’approccio è più scolastico, e poi l’essere così tanti, non permette lo stesso rapporto diretto con i professori, che è invece possibile qui. Lì sei un numero, questo a Bolzano non succede. Poi la struttura è davvero efficiente, le attrezzature ottime, l’approccio più pratico. Ecco perché ho deciso di risalire l’Italia intera, e trasferirmi qui.

Che città universitaria è Bolzano? Come la vivi, insieme ai tuoi compagni di studi?

Rispetto alle città universitarie alle quali si è soliti pensare, Bolzano è atipica. Appena “sbarcato” qui, ho avuto subito l’impressione di trovarmi in un paesino allargato, con la via “dello struscio” in Piazza Erbe, e poi poco o nulla al di là. Mi ha colpito il contrasto tra la cura maniacale dedicata al centro storico, e la periferia, quasi disabitata. Ho la sensazione, molto concreta in realtà, che manchino iniziative “a misura di studente”. Certo noi passiamo molto tempo in università, tra studenti, e questo combatte un po’ l’effetto noia, ma è un peccato che non ci siano posti in cui andare, dove sentire musica, ad esempio, senza svuotare il portagofglio. Gli studenti, qui come ovunque, vogliono tanto, a poco. Per questo non frequentiamo molto la vita culturale della città.

Come pensi si potrebbe “arginare” questo problema?

Sarebbe bello se venisse rivalutata la periferia. Molti studenti abitano fuori dal centro e così si potrebbe creare una specie di isola fatta di luoghi dove trovarsi, suonare, ascoltare musica, con orari consoni alla nostra età. Il centro sarebbe un po’ “liberato” dalla confusione, e noi avremmo uno spazio per noi. Perché io, chi abita in centro e si lamenta, lo capisco più che bene. Tra l’assalto dei turisti e i giovani la sera, deve essere dura abitare da quelle parti. Se noi studenti avessimo un’area per noi, il centro potrebbe rimanere ai turisti, ma soprattutto agli abitanti.

Nel frattempo, voi studenti che fate, per reagire?

Io e alcuni amici studenti, per contrastare lo status quo, ci troviamo ogni tanto in spazi pubblici come l’isolotto sul fiume, o sui ponti, dove non disturbiamo nessuno, e suoniamo. Si crea così un piccolo evento, gli amici vengono a sentirci e ci divertiamo così. Abbiamo libertà d’azione, e soprattutto la libertà di non dare fastidio, che è una cosa importante, in particolare per chi come noi non ha un “dove”.

Jacopo, cosa farai da grande?

Premetto che io vengo da un posto molto più problematico di Bolzano. Qui i problemi sono, appunto, cosa fare la sera, da noi invece sono ben altri! Mi piacerebbe dunque fare qualcosa per la mia terra. Detto questo, devo dire che ho le spalle coperte per il futuro. I miei genitori gestiscono in Puglia un grande agriturismo, dove si fa anche cultura. Io andrò a lavorare lì, e vorrei unire mondi diversi, dalla gestione appunto, alla creazione di una sorta di accademia/collettivo che, attraverso il linguaggio dell’arte, si occupi dei problemi del mio territorio. Vorrei convogliare lì i cervelli della zona, cosi che non fuggano dalla loro terra, e anzi portino nuova linfa e nuovi stimoli, attraverso i modi e le forme dell’arte e della creatività.

Come vivi, così giovane, l’idea di sapere già che lavorerai nell’”impresa di famiglia”?

Molto bene. Già da anni aiuto i miei in questa impresa, in agriturismo abbiamo organizzato tanti concerti, rassegne cinematografiche, mostre, workshop. Mia madre è la vera anima del luogo, è una creativa e mi ha trasmesso la passione per il fare e per la cultura. Mio padre è più pragmatico, invece, e l’unione dei due lati, ha dato vita a questo posto bellissimo, in cui spero di crescere anche io, per dare il mio contributo alla mia terra.

Pubblicato su “Corriere dell’Alto Adige” del 6 novembre 2011

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