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November 7, 2011

Woody Allen – Midnight in Paris, con Owen Wilson

Cristina Vezzaro

Due culture diverse come quella americana e quella francese possono produrre un contrasto molto forte. E mentre ero in coda per vedere l’ultimo film di Woody Allen, una signora di mezza età con un figlio adolescente si lamentava di quel viaggio a Parigi in cui, in una giornata caldissima, tra le 12 e le 2 non era riuscita a trovare nemmeno una bottiglia d’acqua. “Era tutto chiuso”, spiega alla sua interlocutrice che le chiede “Sarà sicuramente stata domenica”. Ma lei insiste “No, era un martedì, era proprio un martedì”, ripete, e io che a Parigi ci sono stata molto spesso in estate, e che è vero non è New York ma comunque non è nemmeno un paesino sperduto dell’entroterra francese, penso “sarà stato il 14 luglio”, ma lei inizia con cliché del tipo che i francesi bevono solo vino e sigarette e niente acqua. “Gli ci vorrebbe un 7/11, continua”.

Sembrerebbe una caricatura, se non fosse che è vero e che alcuni turisti americani tendono a scambiare Parigi per un parco giochi di Las Vegas, solo in stile parigino.

Così è la famiglia californiana che arriva a Parigi, ragazza e genitori straricchi, ben attenti a non farsi intaccare da nulla di autentico. Il fidanzato della ragazza, invece, Gil (il nostro protagonista), è uno scrittore hollywoodiano che vorrebbe però dedicarsi interamente al suo un romanzo e per farlo desidererebbe trasferirsi a Parigi, che ama tanto e di cui decanta in continuazione l’epoca d’oro degli anni venti. Il contrasto tra l’idealismo di lui e il pragmatismo di lei è molto forte e indica una totale negazione da parte del protagonista di ciò che la vita che si sta scegliendo significherebbe per lui.

Fino a quando, casualmente, non sale su una macchina lo porta altrove, non solo nello spazio, ma anche nel tempo. E all’improvviso, dal 2010 si ritrova nella Parigi degli anni venti da lui tanto amata. È così che si trova presto a conversare con Zelda e Scott Fitzgerald, e poi Hemingway, Picasso, Gertrude Stein e infine una donna, l’amante di Picasso, affascinante come la sua donna non è. Così, ogni notte, puntuale a mezzanotte, riprende la macchina del tempo per scappare nell’altro mondo, quasi onirico, dove tutto sembra più bello. L’ambiguità della doppia appartenenza non si spezzerà fintantoché, insieme alla sua donna dei sogni degli anni venti, non sarà invitato a salire su una carrozza che li porterà in quella che lei considera l’epoca d’oro, la Belle Epoque, dove, questa volta al Moulin Rouge, incontreranno Toulouse-Lautrec, Degas e Gauguin, che a loro volta denigreranno la loro epoca per decantare il Rinascimento…

È la ragazza, a quel punto, a desiderare il non-ritorno, il sogno eterno dell’irraggiungibile, del prato più verde del vicino, mentre Gil aprirà gli occhi e capirà che la realtà è solo quella in cui si vive, e che l’unica felicità possibile non è fuggendo in continuazione ma trovandosi nel proprio mondo, nella vita reale, solo con scelte più consapevoli.

Ed è così che, su un simbolico ponte, inizierà una nuova vita.

Questo è l’ultimo Woody Allen, dove Owen Willis è l’azzeccatissimo alter ego del regista e il cast tutto si racconta bene. Non credo che vederlo in traduzione permetta di cogliere davvero l’essenza stessa del film, che ho la sensazione possa perdere nelle parole di un’altra lingua il respiro di un tempo e di una cultura tutti americani. La verità che racconta, quella è invece universale.

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