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November 3, 2011

Al Cineplexx, ripetitività paranormale

Andrea Beggio

VOTO: 7

Eccoci quindi giunti alla terza puntata di questa fortunata serie, Paranormal activity, che ripercorre a ritroso la vita delle due sorelline (Katie e Kristie) possed

ute. Come nei precedenti due episodi gli ingredienti restano gli stessi ed indissolubilmente legati alle modalità amatoriali di ripresa e delmokumentary portate abilmente al successo dallo staff di blair witch project, rec e cloverfield.
La ricetta rimane quindi identica: la tranquilla vita famigliare viene turbata da rumori misteriosi, oggetti che si spostano e rendono necessario improvvisare un sistema di videosorveglianza per verificare le eventuali presunte presenze occulte.
Quindi dopo aver visto nei primi due episodi le drammatiche e claustrofobiche storie delle due sorelle, questa volta riviviamo il periodo dell’incubazione del maligno: ossia quando le due sorelline sono bambine.

Siamo quindi negli anni 80, nei quali fanno la loro prima apparizione i sistemi di video ripresa di massa e guarda caso il compagno della madre lavora nel settore della videoproduzione e dispone di tutte le attrezzature necessarie.
Un viaggio quindi non solo negli anni 80 ma nel mondo dell’immagine video di quegli anni e qui purtroppo gli autori, ad un approccio completamente filologico hanno inspiegabilmente preferito la qualità dell’immagine che quindi, in un set nel quale l’occhio che registra è più importante dell’oggetto ripreso, ha pesato negativamente sulla credibilità.
A tenere in piedi questo “grande nulla cinematografico” la bravura degli attori (comprese le due ragazzine) e la sapienza con la quale vengono dosati i momenti di tensione, in un continuo crescendo che verso la fine presenta scene di suspence insostenibile anche per i cultori del genere.
Durante la proiezione in un tipico orario per under 20, nella sala gremita, si assiste a scene di panico, urla di paura e mani che coprono gli occhi nei momenti più tesi. Uno spettacolo nello spettacolo! Chissà cosa penserebbe di tutto ciò l’artista Andy Warhol che per primo aveva ideato film basati su telecamere fisse o addirittura telecamere a circuito chiuso. Sicuramente, anche se su binari differenti, anche il nostro Ariel Schulman si sarà posto delle domande relative all’utilizzo di un materiale così povero e grezzo per costruire una storia che riesca a tenere il pubblico incollato allo schermo.
Nell’epoca d’oro dei reality anche un genere così di nicchia come l’horror si adatta ai nuovi dettami dell’industria culturale ma, rispetto all’abbruttimento disumanizzante totale dei reality show televisivi, proprio per l’elemento destabilizzante che questo genere introduce, sembra costituire un’eccezione rispetto alla media.

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