Culture + Arts > Performing Arts

October 31, 2011

Romeo et Juliette in sosta vietata!

Jimmy Milanese

Perché l’amore, di aspetto così gentile è poi, alla prova, così aspro e tiranno?

Su questa domanda senza risposta si basa la storia d’amore più popolare che la nostra civiltà abbia prodotto:Romeo e Giulietta, tragedia di fine cinquecento del grande drammaturgo inglese William Shakespeare. Il Teatro Comunale di Bolzano inaugura la sua stagione 2011/2012 con questo grande intreccio amoroso e politico, nella versione operistica in cinque atti di Charles Gounod. E lo fa come da tradizione, ovvero riadattando l’opera in chiave moderna.

Quindi, un amore senza tempo, una ferita senza sedimento, come il grido di un gabbiano che, a partire dalle opere di Ovidio, attraversa i poemi medievali, i poemetti boccacceschi, il grande teatro elisabettiano, quello veneziano del tardo seicento, il romanticismo francese e italiano, fino a giungere nelle mani dei grandi cantautori rock moderni. Storie di amori impossibili, ostacolati dunque da una moralità che, seppur mutevole nel tempo, sembra volersela prendere sempre con quel sentimento, irridendone le piaghe e acuendone il dolore.

In questo caso, è la storica rivalità tra due nobili famiglie di Verona, i Capuleti e i Montecchi, a contrapporsi all’amore che la figlia più bella di quelli, Giulietta, nutre nei confronti del figlio più valoroso di questi, Romeo. Nella versione per opera lirica di Gounod, Romeo et Juliette, predomina una sorta di rito sacrificale che impedisce ai due amanti il passaggio alla vita adulta. Tutto sembra interporsi alla loro felicità. Paradossalmente, solo nel finale d’opera i due, ormai prossimi alla morte, riescono a vivere in piena libertà alcuni attimi d’amore intenso. A differenza di Shakespeare, Gounod fa incontrare i due giovani un attimo prima della loro dipartita, sul marmo freddo della tomba, soli, senza la speranza di un possibile destino, ma felici, per la prima e ultima volta. A differenza di Shakesppeare, Gounod orienta le azioni di Romeo sul senso dell’amore e non della morte. A differenza di Shakespeare, in Gounod l’amore vince e, in un certo senso, diluisce il peso di quella rivalità nella redenzione dei due corpi.

Detto questo, la scelta artistica del Teatro Comunale di Bolzano si orienta verso una totale rielaborazione storico-scenografica, dove lo scontro/incontro di due famiglie è lo scontro tra due griffe rivali: pretesto per una critica all’opulenza della società moderna e alla sua tensione verso la competizione sui mercati. La festa che apre il primo atto – in origine ambientata nel palazzo dei Capuleti – viene collocata in una specie di guardaroba che alla bisogna si trasforma in runway per modelle. Gli intrusi dei Montecchi, tra i quali quel Romeo che ben presto rimarrà fogorato dalla bellezza di Giulietta, assomigliano in modo preoccupante agli inviati delle Iene. Il Duca che dovrebbe dirimere le questioni tra le due famiglie appare abbottonato in livrea bianco-shocking che farebbe invidia al miglior Karl Lagerfeld.

Giulietta appare prima in poster, come effige di un mondo fondato sull’apparenza, poi si concede in carne ed ossa al suo Romeo, tra effusioni erotiche e moine sensuali.

Lo scontro che porta alla morte incrociata di Mercuzio, per parte Montecchi e a quella di Tebaldo, per parte Capuleti, dal quale l’esilio di Romeo dalla sua Giulietta, si svolge a colpi di cartelli stradali, raccattati alla bene e meglio dai protagonisti delle due famiglie: scena da violenza cittadina che ricorda molto gli scontri tra destra e sinistra degli anni settanta dello scorso secolo. Ovvero, scena da violenza cittadina che ricorda molto l’artificiosità dei film polizieschi anni settanta.  Ad entrambe queste morti, appare sulla scena un paparazzo armato della sua polaroid, che sorprendentemente si dimentica di scattare la foto regina della serata, ovvero i due amanti ormai esanimi! Immancabili i manichini che si calano sul palco e il fondale riempito e svuotato da sarte intente a preparare la prossima sfilata. Si arriva perfino ad assistere a Gertrude, badante in stile beat di Giulietta, intenta nel suo jogging mattutino a ritmo di quelche musica da walkman. Invece, il paggio di Romeo è un “writer” metropolitano che si diverte ad imbrattare i poster di Giulietta! Infine, scale e scalinate da passerella si alternano ad edifici da vecchio cartone animato della Disney, ovvero senza colori e privi di superfici spigolose.

Insomma, se Giulietta doveva emergere come una moderna star, non sono i poster disseminati qua e la a comunicarcelo; se si voleva rendere i vizi di un mercato ipercompetitivo, il putpurrì di alta moda con figuri black block non sembra una idea felice; se si voleva far risaltare uno scontro tra due marchi rivali (forse, visioni del mondo?), più che contestualizzare lo scontro quel mix architettonico disorienta e confonde lo spettatore. Infine, se l’idea era quella di indagare le condizioni esistenziali dell’umanità – cieca sopravvissuta alla catastrofe sociale del consumismo diffuso e incapace di agevolare la felicità dei suoi figli – manca del tutto lo scontro dei due protagonisti contro quel contesto socioculturale, che nella regia di Scweigkofler sembra preminente sulla storia d’amore più per confusione dei suoi elementi che per originalità scenografica.

Infine, applauditissimi i cantanti, sia solisti sia del coro del Teatro Municipale di Ravenna, assieme all’ Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna. Superlativa e perfettamente nella parte, Monica Tarone, una Giulietta capace di tenere a bada da sola le numerose incongruenze scenografiche. Accanto a lei, Paolo Fanale, forse meno dotato tecnicamente della collega, ma scenograficamente degno del miglior Romeo. L’ottima resa acustica di questo piccolo gioiello architettonico che è il Teatro Comunale di Bolzano impreziosice la performance dei comprimari, ogni tanto sopraffatti dal volume poderoso sprigionato dall’orchestra in buca, diretta in modo superlativo da Yves Abel che ha il raro pregio di seguire la partitura non solo nella sua esecuzione tecnica ma anche nel suo svolgimento narrativo. Mirabile il finale del quinto atto dove ai due protagonisti è richiesto un fraseggio misto, progressivamente indebolito, si passi il termine, dallo spirare del loro cuore. Abel segue i due ragazzi come un padre e li guida con dolcezza verso il loro destino. Impossibile non amare questa tragedia, per tutti quelli che hanno ferite mai rimarginate e ancora da curare.

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.