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October 31, 2011

Chiusa e il museo aperto di Giovanni e Martha

Anna Quinz

chiusa Arrivo a Chiusa in una di quelle strepitose giornate autunnali, nelle quali il sole sta a picco sulla testa e un’arietta frizzante non fa ancora presagire i rigori invernali. In giornate così, il piccolo borgo antico di Chiusa, immerso nella val d’Isarco e sovrastato dalla spettacolare rocca di Sabiona, fa fare un salto nel tempo, fa pensare a dame e cavalieri, a gnomi dei boschi, a principesse rapite per amore e per amore riportate alla libertà. In realtà però Chiusa è un paesino contemporaneo, che pur nella bellezza architettonica d’altri tempi che si porta addosso, è perfettamente al passo con l’oggi e nell’oggi vive. E cosa significa, tra le altre cose, vivere nell’oggi? Non essere solo paese di dame, cavalieri, gnomi e principesse, né paese di famiglie autoctone radicate nel tempo e nella tradizione locale, ma soprattutto crocevia di scambi culturali, etnici e religiosi, luogo di arrivo e di partenza di persone che dal mondo scelgono di rimanere qui, o da qui di andare nel mondo. Così, le storie delle famiglie pakistane, indiane, africane o rumene di Chiusa, sono oggi le storie di Chiusa. A testimoniare queste storie, quotidiane e universali, ci ha pensato il giovane e talentuoso fotografo Giovanni Melillo, che insieme alla sua compagna, la messicana, Martha Jimenez Rosano, ha presentato nel museo civico di Chiusa la bellissima mostra “Open city museum”. Visibile ancora per pochi giorni (chiude il 5 novembre) la mostra racconta attraverso immagini i flussi di persone e di storie che fanno del paese quello che il paese è, ritraendo i nuovi abitanti di Chiusa nella loro quotidianità. Quello che colpisce però di questa mostra, è l’umanità e la forza dei due giovani che l’hanno creata, l’entusiasmo che traspare dalle loro parole quando mi raccontano, purtroppo per un tempo troppo breve, come è nato il progetto, come si è sviluppato e quali risposte ha avuto dal pubblico. Perché questo non è solo un lavoro documentario, è un progetto più ampio, che si immerge perfettamente nel piccolo delizioso museo di Chiusa, che ospita, nella sua “normalità” arte antica, arte religiosa, il tesoro di Loreto… Open city museum infatti, è un format che si potrebbe adattare (e probabilmente lo farà, dato l’interesse che ha suscitato) a tanti altre realtà museali, perché non si accontenta di mettere in scena una o un’altra mostra, ma si infila nel tessuto sociale del luogo in cui arriva, e si apre, appunto, alla città, alla popolazione, alla vita di tutti. Un esempio. Nel periodo della mostra, ai visitatori sono state proposte delle visite guidate, non in italiano o tedesco, ma nelle lingue dei nuovi cittadini di Chiusa. Così, la diversità culturale, che secondo i due ideatori del progetto, è indiscutibile patrimonio dell’umanità, diventa momento e luogo di immersione, di scambio, di conoscenza. Altro esempio. Alcuni mesi prima della mostra, i due hanno organizzato nel centro di Chiusa un piccolo evento, “Henna e fotografia”. In questa occasione tutti coloro che lo desideravano, potevano farsi fare un disegno con l’henne sulla pelle, e farsi ritrarre da Giovanni. Le foto poi sono comparse, come nelle migliori tradizioni di paese, nella bacheca antistante lo storico negozio di fotografia. E così, la cultura orientale dell’henne, l’universalità del mezzo fotografico e l’ancor più universale dimensione della festa, si sono fuse in un momento gioviale e importante, che, mi racconta Giovanni, è diventato un vero e proprio evento per il paese, e che ha coinvolto tutti. Anche i turisti di passaggio, dettaglio interessante, perché nel vecchio Alto Adige delle tradizioni, nel piccolo borgo di Chiusa, considerato uno dei più belli del territorio, hanno avuto l’occasione di vivere un momento unico di mondo che si dà appuntamento in strada, e si racconta, nella sua normale contemporaneità. Ci sarebbe ancora molto da raccontare di questo progetto, di Giovanni e Martha, coppia nella vita e nel lavoro, di Chiusa e della sua volontà di contraddire il prorio nome e diventare luogo di apertura. Vale la pena però fare un salto laggiù nella valle, entrare con curiosità e rispetto nel piccolo museo e aprire gli occhi e la testa all’oggi. E poi aspettare, che Giovanni e Martha aprano per la gioia di tutti, un altro museo alla sua città.

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