Music

October 27, 2011

Satelliti, Unclevanja, Halle28 e dintorni

Franz

In vista dell’esplosivo concerto di questa sera – 28 ottobre – all’Halle28 (Satelliti + Ahleuchatistas + Walking Mountains) il buon vecchio Vanja – organizzatore dell’evento – è lieto di presentare se stesso come Unclevanja (unclevanja.com). E per l’occasione franz è lieto di rilanciare in versione integrale  “Magma sonoro avvolgente”, espiosivo articolo/intervista dello stesso Vanja Zapetti agli stessi Satelliti, uscito sul Magazine n.9: “Ci piace suonare nell’insicurezza, sul filo della tensione”.

Bolzano è una città a svuotamento generazionale ciclico. Molti tra i 20 e i 30 anni se ne vanno. Escludiamo quelli che si vincolano presto ad un posto di lavoro e non si muovono da qua, e gli universitari pendolari per Innsbruck e Trento. Ma sicuramente i twenteen ager spesso scelgono di andarsene a cercar ispirazione alla vita fuori da qui. Bologna, Padova, Monaco, Vienna, Milano, Firenze, tra università ed occasioni più frequenti.

Un musicista cerca occasioni, deve. Deve offrire alla propria creatività la maggior chance possibile di farsi notare, anche solo di avere sfogo. E Marco Dalle Luche ed Andrea Polato fanno parte di questi emigranti bolzanini. Li accomuna un altro fatto, entrambi hanno vissuto a Londra. Dove peraltro non si sono mai conosciuti. Perché gira e rigira, entrambi sono tornati a Bolzano, come fa il 90% dei twenteen ager da esportazione superata la soglia dei trenta. E gira e rigira, i musicisti nelle città piccole tendono a conoscersi; quando poi sono bravi a tal punto da essere considerati parte dell’elite assoluta finiscono per conoscersi per forza.

“Ci siamo conosciuti due anni fa – dice Andrea – in una qualche sala prove, jammando o qualcosa del genere.” Bella la sala prove, fucina di idee e laboratorio di tecnica nello stesso tempo. Quanto è migliorata la musica in questa città da quando esiste una piccola, spontanea e accidentale concentrazione di sale prove, da quando esiste un embrione di comunità sonica.

Andrea è il più giovane dei due, ancora più vicino ai 30 che ai 40, batterista titolare di almeno tre quotate formazioni (Julius Bana, Fatish e Satelliti) e del cantautore inglese Ed Laurie, frequentatore poliedrico dell’ambiente jazz e àncora di salvezza per tutte le band che si trovino costrette a sostituzioni dell’ultimo minuto (cfr. The Little White Bunny a Italiawave).

Marco è più vicino ai 50 che ai 40, suona il piano in tutte le sue varianti, dal classico in ambiente jazz alle registrazioni house, dalle tastiere psychobeat dei Peggy Germs al Fender Rhodes caldissimo dei Satelliti. “Una carriera che ha preso una piega professionale quando poco più che ventenne decisi di trasferirmi a Milano. E lo feci proprio per la musica, per le maggiori possibilità che potevano esserci in una città più grande e perché mi ero rotto le scatole di stare a Bolzano.” dice Marco. “Anch’io, uguale, stessa età quando andai a Londra” – sobbalza Andrea – “dev’essere il momento in cui ti rendi conto che se rimani qua soffochi. Avevo assoluto bisogno di andarmene, a ventiquattro, venticinque anni.”

Milano, Londra. I due lidi d’accoglienza dei sogni di due talentati musicisti, due città in cui ha vissuto a lungo Marco. “A Milano andai per un contatto che avevo, ho suonato anche nei night ma principalmente mi sono occupato di produzioni house underground di grande levatura. Lavoro che mi ha insegnato molto, non ero un amante della musica da discoteca, probabilmente non posso definirmi tale nemmeno ora, ma prestarmi a quell’opera, per anni, mi ha fatto capire quanta qualità ci può essere dietro una produzione dance. Ed ha allargato i miei orizzonti. E’ un mondo minimale che ha un suo fascino precipuo, che non va sminuito.”

Marco a Milano ha lavorato a lungo con Joe T. Vannelli e il suo entourage. “Gente che ha qualcosa di particolare: determinazione forte e gusto, misto a spiccato istinto. Se una cosa tira va, se non tira fa schifo. Niente mezze misure.”

Contemporaneamente Andrea iniziava a suonare a Bolzano, fine delle superiori, rock. Batterista degli Zoe, gruppo seminale della scena alternativa bolzanina, con attività in tutta Italia. Poi Londra. “Cercavo scuole. Volevo imparare qualcosa di nuovo, usare al meglio il mio strumento e qui non c’era, e non c’è, una vera possibilità di progredire nella formazione oltre un certo limite. Ho cercato varie possibilità, vari Musician Institute, l’America costava troppo e quindi scelsi Londra. Cinque mesi per imparare l’inglese e poi il corso vero e proprio alla London Music School”.

Un istituto prestigioso che lo vide risultare miglior allievo del corso, e che gli permise di entrare in contatto con altri musicisti inglesi con cui tuttora collabora. “Su tutti Ed Laurie, cantautore che oggi seguo come batterista in tour e studio. Insieme suonavamo all’epoca nei Whops, band Rough Trade.”

Nel frattempo a Londra s’era trasferito anche il Maestro Dalle Luche. “Ho abitato in Inghilterra per dieci anni, dal 1996 al 2006, sempre per lavoro in ambito musicale dance. Ho anche l’impressione di averlo visto Andrea, in qualche locale londinese, ma in realtà ci siamo conosciuti due anni fa, a Bolzano sulla terrazza del Cristallo. Lo vidi suonare con i Julius Bana e ne rimasi fortemente colpito: un musicista in senso completo, evoluto.” Detto da uno il cui soprannome per tutti è ‘il Maestro’ suona molto bene. “Assolutamente ricambio inchinandomi – ribatte Andrea – a me incuteva timore reverenziale il solo soprannome che Marco si porta dietro.”

Da lì a poco scattò la prima jam, in notturna, in sala prove. Con una combinazione molto originale, batteria e tastiere: per quanto elaborato e informatizzabile possa essere rimane un duo molto raro da trovare. “La prima cosa che un musicista pensa è che manca il basso – dice Andrea – ma alla fine è una mancanza che non è tale, abbiamo sonorità che coprono tutto lo spettro delle tonalità. Poi ci sono computer, campioni registrati dal vivo, ma senza che prendano il sopravvento sull’estemporaneità che caratterizza il progetto. L’idea di base è fare una foto di quel’ora in cui si suona.”

Fotografare il tempo tramite il suono. Geniale, sì, anche solo nel linguaggio. E pratica rigorosa in casa Satelliti, quasi religione:”Usiamo la tecnologia per creare dei suoni che poi cavalchiamo. Una cosa molto semplice quella che facciamo: sono due persone che sanno parlare tra di loro in musica. Abbiamo un argomento, non un genere. E’ una cosa molto più atmosferica, l’ambiente in cui suoniamo influenza sempre molto ciò che produciamo. Concettuale, o side specific: il materiale c’è, e c’è un filo che tiene insieme tutto quello che abbiamo fatto.”

Un magma sempre pronto a prendere forma in base al momento ed al luogo, senza mai lasciar capire chi tra i due è quello che traina l’altro. “Non c’è chi porta. Quando suoniamo voglio mantenere quell’insicurezza che crea la tensione – dice il Maestro – riuscire a sentire l’emozione della paura che avverti e trasferirla nella totalità del suono prodotto. Abbiamo delle idee che fanno da snodo, ma non ci sono misure da rispettare. Magari qualche finale. Ma è bello e ci piace suonare nell’insicurezza sul filo della tensione.”

“E’ come giocare a far sì che una palla non tocchi terra, a volte la salvi all’ultimo ed è l’emozione più forte che puoi avere, e probabilmente fornire a chi ascolta. – prosegue Andrea – Di contrasto ci sono cose che magari durano quattro battute e che ci fanno da punti di riferimento. Sappiamo a vicenda interpretare il linguaggio dell’altro, capiamo dove andrà a parare: io potrei finire una frase sua e lui sa bene che se io inizio a mettere un certo tipo di colore in ciò che suono finirò per arrivare ad una chiusura o ad un break. E’ più importante che avere la cosa scritta, perché mantieni viva la tensione soprattutto nell’ascoltatore.”

Assistere ad un concerto dei Satelliti è in effetti qualcosa di estremamente avvolgente, sembra di entrare in un mondo di note in fluttuazione, sospese nell’aria e pronte ad agganciarti a loro. “Siamo in due, uno davanti all’altro, entrambi con macchinari che producono suoni pazzeschi con movimenti minimi, aggiungici i visuals con i quali integriamo la nostra porposta live e dovrebbe risultare qualcosa di bello anche da vedere.”

Il primo disco è uscito lo scorso anno, si chiama Im Magen Des Kosmos. “Volevo fare un disco improvvisato – dice Marco – con sonorità ’70 e vari riferimenti. Dieci mattine, dieci ore di registrazione e poi ricerca certosina di ciò che ci piaceva. Sovraincisioni in pratica non ce n’è, o quasi.”

Andrea aggiunge che “il tutto è quasi più vicino al montaggio video, come lavoro. Anche se la musica è suonata con tutti i crismi, a doppio livello: mi piace la tecnica, e ce n’è molta, ma sono felice che si noti solo per orecchie esperte mentre contemporaneamente risulti semplice a chi ha un ascolto più diretto e meno cerebrale.”

Concerti finora una mezza dozzina. Tra i quali l’apertura ai Vessels al Vintola18, esibizione che ha lasciato esterrefatti i membri dell’importante band inglese (quest’anno headliner di uno dei palchi di Glastonbury). “La migliore band d’apertura che abbiamo avuto” si legge nel loro sito, assieme ad altre parole lusinghiere assegnate al disco. Anche grazie a questo incontro si è sviluppata la possibilità di un tour inglese, che avrà luogo a novembre, per la gioia genuina dei due nostri musicisti, contentissimi di tornare in Inghilterra dall’ingresso principale quali artisti chiamati ad esibirsi e non più solo come studenti o collaboratori altrui. Per novembre si spera anche che sia pronto del nuovo materiale, l’embrione di un secondo disco che vedrà in ogni caso la luce nei prossimi mesi.

In bocca al lupo Satelliti, meritate profondamente tutto ciò che vi sta accadendo.

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