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October 23, 2011

People I Know. Isabel Pichler: il Giappone non è così lontano

Anna Quinz

Isabel Pichler ha solo 23 anni, ma la tratta aerea che collega la vecchia Europa e il lontano Giappone, la conosce ormai come le sue tasche. Nata a Bolzano, da mamma mantovana e papà di Appiano, Isabel vive nella terra del Sol Levante ormai da anni e lì studia (tra Berlino e la locale e prestigiosa Sophia University) e lavora (è in stage presso la Camera di Commercio italiana, insegna italiano, tedesco e inglese, per arrotondare, fa anche la modella). Mentre il Giappone veniva spezzato in due dal terremoto, e mentre il mondo guardava dagli schermi televisivi e da internet la tragedia e i suoi effetti devastanti, la bella e biondissima bolzanina era lì, nella sua seconda patria, tra i suoi amici e la sua gente.
E se in un primo, brutto, momento, ha deciso di tornare in Europa (a Berlino), poi l’amore per quella terra è stato più forte, ed è tornata laggiù, per dare una mano. Con il gruppo Kizuna Berlin (Kizuna significa collegamento) è partita per la regione Iwate, nel nord est del Giappone, si è rimboccata le maniche, e con la forza data dalla voglia di fare qualcosa di concreto per chi e per ciò che si ama, si è messa al lavoro, tra le macerie di una terra tutta da ricostruire, che non è poi, a pensarci, così lontana da noi.

Isabel, perché il Giappone? Quando il primo viaggio intercontinentale?

La prima volta che sono andata laggiù avevo 19 anni e volevo conoscere il Giappone, quello vero, quindi ho girato per tre mesi da sola con lo zaino, da nord a sud, ho scalato il Fuji San, il vulcano sacro, ho lavorato in campagna con i contadini, piantato il riso, e poi ho continuato il mio viaggio fino alle isole tropicali in Okinawa. Insomma, pura avventura!

Durante il terremoto lei era lì, come ha vissuto quell’esperienza? Cosa ha lasciato, in lei, e nel Giappone che tanto bene conosce?

In quel periodo ero con il mio ragazzo italiano in visita, volevamo girare un po’ per il Giappone. Al momento del terremoto eravamo a Osaka, una delle città nelle quali si è sentita la scossa. Dopo 2 giorni siamo venuti a sapere di Fukushima e lì è iniziato l’inferno.. Leggevo le notizie giapponesi e quelle tedesche, inglesi e italiane, ma non combaciavano. Sembrava la fine del mondo. Non si trovavano biglietti aerei. Tutti gli stranieri, se potevano, scappavano, in internet era il caos, così per avere due biglietti siamo andati in agenzia viaggi: l’unica “via di fuga” possibile era passare per Seul. Quando siamo riusciti a partire non avevo niente con me, nemmeno il passaporto (ho una carta d’identità giapponese)…

Qui c’è ancora tanto da fare, nella maggior parte dei posti sul litorale del nord est non si potrà più costruire, perché la salsedine ha distrutto tutto. Nei campi é tutto deserto, per non parlare del cibo, chissà fino a che punto contaminato. I superstiti vivono in casette prefabbricate, dove si può vivere, certo, ma tutti si lamentano, la burocrazia giapponese è talmente rigida che non si muove, nonostante i tanti soldi donati al Giappone, la popolazione non vede ne riceve niente.

Dopo tanti anni di vita laggiù, in una terra così diversa, cosa ne pensa dei giapponesi? Quali i loro pregi, quali i difetti?

Tra i pregi sicuramente la calma e la tranquillità. E poi, essendo influenzati dalla cultura confuciana, la capacità di pensare in gruppo, compatti. Alcuni superstiti dello tsunami con cui ho parlato, mi dicevano che alla fine (nonostante avessero perso l’intera famiglia, la casa…) sicuramente c’era qualcuno che stava peggio di loro, per esempio le persone a Fukushima. Questo approccio mi ha colpito. Ma i pregi sono collegati ai difetti. I giapponesi tendono a rispondere a ogni catastrofe o problema che non riescono a risolvere con l’affermazione “sho ga nai しょうがない” che significa: “non posso farci niente, non è tra le mie capacità cambiare questa cosa”. Quindi se parlo di nucleare, dei suoi effetti, del fatto che dovrebbero stare attenti a cosa mangiano, mi rispondono “sho ga nai”. Se parlo di politica, “sho ga nai”. Se parlo di suicidi (in media una persona ogni 15 minuti in Giappone), “sho ga nai”.

Cosa le manca, se le manca qualcosa, della sua terra d’origine?

Adoro il Giappone. Soprattutto la campagna dove la gente é semplice e diretta. Tokyo ovviamente é unica: ogni giorno è un’avventura. Ci sono tanti artisti, musicisti, ogni persona ha una sua storia da raccontare. Dunque, non mi manca granché della mia terra, tranne magari il buon cibo, il vino.

Tornerebbe a Bolzano? Se sì, perché? Se no, perché?

Bolzano, che ho lasciato da giovanissima, è una bellissima città, e a tutte le persone che incontro e che rimangono sbalordite dal mio essere bilingue, racconto della natura magnifica, del paesaggio, del cibo… Ma in realtà credo che la gente debba ancora cambiare e migliorare. Non solo in Alto Adige però, nell’Italia tutta.

Cosa ha portato con sé, in Giappone, dell’Alto Adige?

Alcune foto, i Loacker, un calendario delle Dolomiti, lo Schüttelbrot.

Pubblicato su “Corriere dell’Alto Adige” del 16 ottobre 2011

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