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October 18, 2011

Final destination 5

Andrea Beggio

Da ogni parte ci arrivano quotidianamente chiari segnali sull’inutilità, se non addirittura sulla nocività, della specie umana, con particolare riferimento a quella ormai grande fetta di individui che produce e si riproduce nel modo di produzione capitalistico.

La visione di Final Destination cinque in versione treddí, proprio perché ritagliato su masse ormai educate con interazioni basate sul modello dello stimolo – risposta pavloviano, parla piú di un saggio sociologico. Pur cosciente che l’alto contenuto sociologico di questo costosissimo obrobrio é un aspetto puramente casuale e non voluto, decido, armato di nachos con salsa piccante e birra piccola, di affrontare con coraggio e determinazione questo mio mediocremente squallido destino di fine serata.

////////////////Per chi lo vedrà da casa vorrei consigliare una piccola ricetta tossica che ho scoperto in un pub di Pavia: ingredienti: una porzione di nachos alla paprika, del formaggio a cubetti, un forno a microonde preparazione: adagiare i cubetti di formaggio sul tappeto di nachos precedentemente predisposto e passare un paio di minuti al microonde. Consumare subito possibilmente accompagnato con birra bianca belga.\\\\\\\\\\

Questo Final destination cinque ripropone (ovviamente per la quinta volta) reiterato lo stesso identico meccanismo: un gruppo di persone riesce fortunosamente ad evitare la morte, che però é solo rimandata, visto che, dopo poco tempo, torna a riscuotere il suo credito. Ai sopravvissuti viene garantita una morte spettacolare e cervellotica anche perché, una volta scoperta la loro inevitabile predestinazione, faranno molta attenzione a non mettersi in pericolo. È vero che non si salva nessuno ma, se si guarda il tutto con serietà, si potrebbe dire che, anche in assenza del meccanismo su cui si basa la saga, vi sono forti dubbi sulla necessità per questi personaggi di esistere. La loro morte diviene quindi una necessità drammaturgica, e il modo artificioso e finto di uscire di scena ricalca il loro stesso arretramento culturale.

Gli unici momenti che possono catturare l’attenzione sono i titolo di testa, nei quali i tecnici si sono sbizzarriti utilizzando in modo molto creativo After Effects e il 3D (scappate da li e fate video arte!!!!!) ma questo non basta a giustificare la presenza in sala per quasi due ore, senza contare gli euro del biglietto. Vi risparmio il cast perchè occuperebbe dello spazio.

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