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October 17, 2011

People I Know: Michela e Simone, e una scatola piena di arti

Anna Quinz

Al di qua (o al di là) del fiume che divide la città, incastrata tra Gries, la zona Europa e le piazze di memoria fascista, c’è via Cesare Battisti. Via di passaggio, forse proprio perché crocevia tra quartieri tanto diversi, non ha mai goduto di un’identità personale. Ma due giovani bolzanini, Michela Vanzo e Simone Longo, hanno deciso proprio qui di mettere radici e posizionare la loro “scatola” creativa. Artibox, così si chiama il loro studio/laboratorio, che guarda, attraverso ampie vetrate, la via e dalla via si fa guardare.
Architetto lui, restauratrice lei, hanno deciso di coniugare queste due discipline apparentemente lontane, di unirne una terza, il design, e di dare alla città una scatola da aprire e scoprire. Dentro, separati da un vetro, gli oggetti Danese in vendita, Simone al suo computer e Michela immersa tra i suoi mobili tirolesi. Un curioso abbinamento, coraggioso, ma adatto a Bolzano, città attenta al nuovo, ma attaccata al suo passato e alla sua storia. E coraggioso perché Michela e Simone, compagni di vita e di professione, fanno parte di quei tanti bolzanini, che, alla soglia dei 30 anni, hanno deciso a di tornare a casa, e portare qui le cose viste “nel mondo”, che nel nostro piccolo mondo ancora mancano. Così, invece di lamentarsi di una mancanza, si sono rimboccati le maniche, e hanno colmato un vuoto. Riempiendolo di oggetti, mobili, progetti e soprattutto idee.

Come è iniziata la vostra avventura professionale? Da dove siete partiti? Come siete arrivati fino a qui?

Simone: Dopo la laurea, siamo andati a vivere in Spagna, a Valencia. Era il 2006, l’anno precedente alla Coppa America, c’era molto fermento e ci sembrava un buon momento per andare a fare esperienza lì. A me personalmente, poi, il modo libero di affrontare il progetto, tipico degli spagnoli, affascinava molto.

Michela: io ho frequentato lì una scuola di restauro, nel frattempo, per vivere, lavoravo come barista. Purtroppo la grave crisi in cui la Spagna è caduta, ci ha costretto a tornare a casa. A Merano ho continuato gli studi nel restauro, che qui in Alto Adige si concentra principalmente sui mobili della tradizione tirolese. All’inizio non capivo, ma ora, sono convinta che un pezzo tirolese, dovrebbe esserci in ogni casa!

Simone: l’idea di Artibox era sempre stata nelle nostre teste, e una volta tornati a casa, ci è sembrato naturale realizzarla.

Michela: certo che essere di nuovo “nel piccolo” è strano, qui tutto, anche la nostra attività, deve essere proporzionato alle dimensioni della città.

Simone: per capirci, lì progettavo condomini, qui appartamenti!

Design, architettura e restauro. Tre facce di una stessa medaglia?

Michela: il design e l’architettura portano il nuovo, il restauro tiene viva la tradizione. Così, mettendo insieme le tre arti, riusciamo a coprire un raggio d’azione ampio e variegato. E poi una cosa senza l’altra non funziona, il puro design, rischia di essere freddo e distante dalla vita vissuta, mentre la pura tradizione, specialmente quella tirolese, rischia di sconfinare nel kitsch. Ma combinando gli elementi, le forme, le storie e i periodi, si ottiene un risultato ideale, vero, vitale.

Simone: un po’ come il nostro matrimonio, io sono la parte essenziale, precisa, come il design e l’architettura. Michela è la parte morbida, come i mobili lignei su cui mette le mani.

Perché avete scelto questo angolo di città? Come sono i rapporti con i vostri “vicini”?

Michela: la nostra è un’attività che non ha bisogno di stare “al centro”. Viene a trovarci chi ci cerca. Dunque, se anche inizialmente è stata principalmente una questione di costi, ci piace stare qui. All’inizio i vicini erano diffidenti, in questa zona sono abituati a negozi satellite, che aprono e chiudono nel tempo di una stagione. Ma ora iniziano a salutarci, abbiamo ottimi rapporti con i commercianti della strada, e ogni tanto qualche vecchietta curiosa, forse diretta nella chiesa vicina, entra a dare un’occhiata.

Simone: spesso succede che le persone passano senza soffermarsi, fanno qualche passo, e tornano indietro per vedere meglio. È un buon segno, significa che stiamo riuscendo a stimolare la curiosità anche dei passanti più disattenti.

Quella in cui siete è una zona di passaggio della città, non ha mai avuto una sua forte caratterizzazione. Vorreste aprire la strada a una sua “riqualificazione” creativa?

Simone: sarebbe bello se grazie alla nostra presenza (ci chiamano “il punto verde” della via, per il colore del nostro logo), la zona si “svecchiasse un po’ e cambiasse identità. Io poi, in generale, anche per gli studi fatti (ho scritto la mia tesi sulla riqualificazione urbana di Bolzano, proponendo una metropolitana di superficie), credo sarebbe necessario istituire la figura dell’architetto di quartiere. Una persona che conosca profondamente le esigenze del luogo, e che possa proporre le migliorie necessarie a rendere la vita migliore per i cittadini. Una progettazione dal basso, vicina alle persone, insomma. Qui, per esempio, potendo, trasformerei la non-piazza antistante la chiesa dei Tre Santi, in una vera piazza.

Pubblicato su “Corriere dell’Alto Adige” del 9 ottobre 2011

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